Il monastero di Torba, in provincia di Varese, è un complesso monumentale longobardo, oggi parte di un parco archeologico che comprende anche Castelseprio, dichiarato Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. E’ un gioiello immerso nella natura e raccolto attorno a un’imponente e massiccia torre con interni affrescati.

Il bene fu donato al Fondo Ambiente italiano (FAI) da Giulia Maria Crespi, nel 1977. Il FAI nacque proprio in quegli anni. Fu Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto, che spinse l’amica Giulia Maria Crespi a impegnarsi per creare in Italia una fondazione sulla falsariga del National Trust britannico. L’idea di Elena Croce divenne realtà grazie all’entusiasmo e al sostegno di Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli: fu con loro che Giulia Maria Crespi il 28 aprile 1975 firmò l’atto costitutivo e lo statuto del FAI: una dichiarazione d’intenti di persone decise a fare qualcosa di concreto per il nostro Paese attraverso il recupero e la gestione di beni architettonici, storici e ambientali di particolare pregio. A dare il via alle attività del FAI fu la prima donazione ricevuta: la splendida Cala Junco donata da Pietro di Blasi, a Panarea, nelle Eolie, una caletta dalle acque cristalline. Seguirono appunto il Monastero di Torba, comprato e donato dalla stessa presidente Crespi, e l’Abbazia di San Fruttuoso a Camogli.

Quella del complesso di Torba è una vicenda antichissima che ha origine nel V secolo d.C., quando i Romani costruirono le mura di un avamposto militare contro la minaccia dei barbari, nei pressi del borgo di Castelseprio. Ancora oggi il torrione di guardia rimane a testimonianza della funzione originaria del castrum, portata avanti anche da Goti, Bizantini e Longobardi e poi mutata nel tempo.

Da roccaforte difensiva, Torba divenne centro religioso con l’insediamento di un gruppo di monache benedettine che nell’VIII secolo fece costruire il monastero e, più tardi, la piccola chiesa. Per circa sette secoli l’appartata comunità femminile abitò questo luogo, consegnandoci come eredità del suo durevole passaggio gli affreschi nella torre, ieratici, dall’aura quasi misteriosa.

Nel Quattrocento le Benedettine si trasferirono e per Torba cominciò un lento declino che portò il complesso a tramutarsi in azienda agricola e, a inizio Ottocento, a perdere la propria funzione religiosa per scivolare gradualmente in uno stato di degrado interrotto solo negli anni settanta del secolo scorso grazie al FAI. Oggi questo sito millenario dal passato importante (non a caso inserito nel 2011 nelle liste del Patrimonio dell’Umanità UNESCO) rivive anche alla luce dei continui ritrovamenti di età longobarda, che costituiscono solo una delle sorprese che il Monastero riserva al visitatore. Il territorio di riferimento è infatti ricco di tesori di arte e natura spesso poco conosciuti, è un ottimo contesto per chi va alla ricerca di luoghi di pregio fuori dai circuiti più noti e frequentati.

Il Monastero di Torba è anche una delle tappe della Via Francisca del Lucomagno, il cammino che per oltre 100 km attraversa il territorio italiano e tocca numerosi luoghi di interesse.

La storia recente del Monastero di Torba è sicuramente da annoverare tra i migliori casi-scuola nella rinascita e nella successiva gestione di beni architettonici di significativa rilevanza artistica e storica. Da cascina diroccata e abbandonata a insostituibile polo di iniziative culturali, turistiche e del tempo libero, organizzato in modo efficiente e con visione imprenditoriale per garantirne il mantenimento e la sostenibilità. L’attività del FAI si è poi espansa negli anni recenti a decine di altri casi simili diventando così oggi, questo fondo, un importantissimo tassello virtuoso del recupero e della tutela dell’immenso patrimonio monumentale italiano viceversa destinato alla rovina e all’inutilizzo.

Torba nello specifico e tutto quanto ha realizzato il FAI nel tempo, come tutti i casi di successo, deve rappresentare necessariamente un benchmark di cui tenerne sempre conto. Il riferimento fin troppo scontato è all’ambito pubblico, oggi come sempre alle prese con il costoso recupero, l’altrettanto oneroso mantenimento e la complessa gestione di beni monumentali da destinare soprattutto alla fruizione turistica e culturale. La gestione di beni monumentali pubblici è possibile solo grazie alla attività e alla organizzazione di operatori qualificati che sono in grado non solo di far quadrare un bilancio o di mantenere in efficienza un immobile, ma anche di garantire una valida e competente professionalità in ambito culturale e turistico. Insomma, che sono capaci di rendere correttamente fruibile e sostenibile un bene pubblico. Il resto è solo fuffa, purtroppo costosa per il contribuente italiano.

Crediti immagine: FAI, foto di Valentina Pasolini

www.fondoambiente.it

Di Claudio Bollentini

Presidente di Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti - https://www.linkedin.com/in/claudiobollentini/

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