Nel medioevo i pellegrini per essere riconosciuti in viaggio oltre ad un abbigliamento ad hoc (che descriveremo in un articolo a parte), erano soprattutto in possesso di un “lasciapassare”, che dava loro diritto all’ospitalità. In assenza, non potevano entrare nelle città o spostarsi da una città all’altra. Le città erano tutte recintate e le porte di ingresso sorvegliate, inoltre fornivano protezione dai borsaioli e malviventi, presenti nelle campagne e lungo le vie più importanti di comunicazione molto di più del giorno d’oggi. In modo particolare, era indicato muoversi in comitive numerose, dette “compagnie”, trovare sempre un riparo nelle ore notturne, non restare mai soli in luoghi isolati, come ci ricorda l’episodio stesso dell’uccisione del cavaliere Gemolo, proprio sulla via del cenobio di Ganna.

Era il podestà o l’autorità della città di provenienza che doveva garantire sull’identità e sulla “buona condotta” con una attestazione scritta; in aggiunta serviva la dichiarazione di “buon cristiano” rilasciata appositamente dall’autorità religiosa del luogo da cui proveniva il pellegrino. Quest’ultima “patente” era indispensabile, soprattutto per poter accedere all’interno degli appositi spedali gestiti unicamente dagli ordini e posti lungo alcune “stazioni” monastiche, sorta di oasi in cui poter anche riposare.

Infine, ci si rivolgeva ad un cerusico per l’attestazione di “buona salute”, cioè il non essere affetti da morbi contagiosi; diversamente, in certi periodi, si incappava nell’obbligo di una quarantena all’esterno delle mura e in appositi recinti (in Canavese ne esiste ancora uno perfettamente conservato e visibile fuori dall’abitato di Mazzè).

Tuttavia, allora come oggi, non erano inconsueti i diversi tentativi di raggiro a mezzo di documenti apocrifi. Tra le curiosità si riporta che le donne viaggiavano soltanto avuto il permesso del padre, fratello o marito e sovente erano soggette a satira da parte degli altri “compagni”. Prima di partire il pellegrino si preparava al viaggio con pratiche di purificazione: se aveva dei nemici si riappacificava, se aveva debiti li saldava, faceva testamento, elargiva donazioni alla Chiesa pro anima sua ed infine si confessava, perché il viaggio era molto pericoloso e senza un sincero pentimento diventava pure spiritualmente del tutto inutile. Un pellegrino facoltoso, però, godeva di un vantaggio, dal momento che aveva la possibilità di delegare un’altra persona a compiere il viaggio al posto suo. Giunto a destinazione e ottenute le credenziali non era infrequente anche la pratica del tatuaggio: nel caso il pellegrino fosse stato derubato di tutto ciò che aveva con sé poteva così dimostrare il suo “status” speciale ed avere ugualmente l’ospitalità gratuita lungo tutta la via del ritorno a casa. Lo status di pellegrino – una volta portato a compimento il viaggio – gli avrebbe in seguito conferito particolare prestigio nella sua comunità.

(Articolo scritto dall’autore, già pubblicato su: “il Risveglio Popolare” del 28/5/2020, a cura di Marco Notario)

Bibliografia essenziale

Aimery Picaud, Codex Calistinux

Di Valter Fascio

Oblato benedettino

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