Là dove oggi risuonano il canto degli uccelli e il fruscio delle foglie, dove alti castagni e faggi offrono riparo dalla calura estiva e nascondiglio a caprioli e cinghiali, fino a un secolo fa c’erano pendii assolati, frequentemente disboscati per ricavare legname e carbone, in cui echeggiavano il picchiettare ritmico degli attrezzi sulla roccia, le voci degli scalpellini e i comandi urlati dai mastri cavatori.

Poco a valle della strada provinciale per il Colle Braida e oggi nascosta in mezzo al bosco, si trova la cava da cui provengono parte delle pietre con cui fu costruita e restaurata la Sacra di San Michele, la Cava d’Andrade. Un tempo chiamata genericamente “ picrìa”, cioè il sito dei “ picapere” (come sono chiamati in piemontese gli scalpellini), fu battezzata in onore di Alfredo D’Andrade, che curò il progetto di restauro dell’abbazia valsusina portato a termine negli anni 1930.

Noto anche per i lavori all’Abbazia di Sant’Antonio di Ranverso e per la costruzione del Borgo Medioevale di Torino, D’Andrade fu grande storico oltre che architetto, e come tale si preoccupò di rispettare il più possibile l’impianto strutturale della Sacra, utilizzando nel restauro i materiali originari e riproducendo dal vero i particolari: arrivò al punto di studiare gli utensili che avrebbero potuto essere copiati, al fine di riprodurre fedelmente l’opera degli artisti medioevali. In quest’ottica individuò nel sito attuale l’originale cava di provenienza delle prasiniti dell’abbazia, costituenti soprattutto la sommità della chiesa.

I picapere medioevali cavavano le pietre dalla parete inserendo dei grossi cunei metallici all’interno delle fenditure della roccia, che venivano poi percossi con mazze ferrate; in tal modo si sfruttavano i naturali punti deboli del materiale per favorirne il distacco. I blocchi irregolari subivano quindi una prima sbozzatura sul posto, tanto più accurata se la pietra doveva essere successivamente impiegata come elemento murario o come scultura. La prima riquadratura avveniva con i punciotti, scalpelli a forma di cunei piramidali, che venivano inseriti in fori praticati lungo il perimetro dell’elemento che si desiderava ottenere.

Il passo successivo consisteva nella vera e propria modellazione della pietra, che poteva avvenire sul piazzale di cava o nel cantiere. Era eseguita con una serie di attrezzi dai nomi curiosi, ancora oggi in uso tra gli scalpellini, quali lo scapezzino o la subbia.

All’epoca dell’edificazione della chiesa attuale, tra l’XI e il XII secolo, ogni pietra doveva essere trasportata al cantiere a dorso di mulo, risalendo lungo il crinale che oggi si percorre con una comoda stradina. Quando la cava fu riattivata per il restauro, nei primi anni 30 del secolo scorso, si risolse questo problema con la messa in opera di una teleferica: essa partiva dal lato orientale del piazzale di cava, con un’unica campata arrivava fino allo spiazzo del Sepolcro dei monaci, dove ancora oggi è possibile vedere il basamento in cemento del pilone, e infine, con una seconda campata, entrava nel lato sud-occidentale del muro di cinta della Sacra. Sulla spianata di partenza sono ancora visibili alcuni binari a scartamento ridotto di una decauville provvista di carrellini minerari, che permettevano il trasferimento dei pesanti blocchi di prasinite dal fronte di scavo alla stazione di carico. Questa, in robuste travi di legno, è sopravvissuta fino ad oggi, pur fortemente inclinata dalle intemperie.

Dalla stazione di carico è ancora possibile vedere il punto di arrivo, un intaglio nel muraglione della Sacra, grazie all’assenza di alberi. Anche nel punto di arrivo, nell’area del cosiddetto “ Monastero Nuovo”, sono conservate testimonianze dei lavori di restauro, tra le quali spiccano binari, volani e un carrello impiegato per il trasporto delle pietre.

Il progetto di restauro recuperò dunque la cava per la costruzione degli archi rampanti che contribuirono a salvare la Sacra di San Michel dal crollo: è in quel contesto che furono realizzati anche i monolitici sarcofagi dei Principi di Casa Savoia ospitati nella Chiesa.

Tratto da: Sui sentieri della Sacra di San Michele – B. Rizzoli – G. Boschis – F. Ferzini

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.