Tra fine ‘800 e i primi del ‘900, nel gruppo dei riformisti lombardi eredi del cattolicesimo liberale del periodo del Risorgimento, troviamo, oltre a uomini di mera azione, un nutrito gruppo di intellettuali laici che si interessavano appassionatamente ai problemi religiosi, cosa che era rara a quell’epoca in Italia. La figura che esercitò maggiore attrazione sul grande pubblico fu Antonio Fogazzaro (1842-1911), brillante e popolare letterato veneto con lunghe e abituali permanenze insubri in una bella villa in quel di Oria sulla sponda del lago di Lugano, pieno di idealismo mistico, molto legato a Semeria, a Genocchi, a don Brizio Casciola, a von Hügel, grande ammiratore di Loisy, di Blondel e di Tyrrell, ma fortemente influenzato anche da Rosmini e in particolare dagli ideali di riformismo religioso espressi da quest’ultimo nelle «Cinque piaghe della Chiesa», e preoccupato di conciliare l’evoluzionismo darwinista con il dogma cattolico. Nel 1905 Fogazzaro pubblicava un romanzo, «Il Santo», il cui eroe si faceva apostolo di una riforma fondata sullo spirito di carità e che era destinata a impregnare tutti gli aspetti della vita religiosa e sociale. Si trovavano disseminate nel libro numerose osservazioni sulla natura del sentimento religioso, sul compito del prete, sullo spirito cristiano e il formalismo del culto cattolico, ma l’opera culminava in un grande discorso riformista indirizzato al papa nel quale erano denunciati i quattro spiriti del male che avevano invaso la Chiesa: lo spirito di menzogna che chiude gli occhi alla luce delle scienze moderne e mette sotto accusa i migliori difensori della verità; lo spirito di dominio che trasforma l’autorità paterna nell’esercizio di una spaventosa dittatura; lo spirito d’avarizia che è un insulto alla povertà evangelica; infine lo spirito d’immobilismo che fa temere ogni progresso e che aveva, il paragone è di Tyrrell, spinto i rabbì giudei a rifiutare e a condannare Gesù. Il romanzo ebbe un grande successo oltre ogni aspettativa, fu tradotto in varie lingue, ma sollevò accese polemiche negli ambiti ecclesiali.
Analizzando innanzitutto la trama, “Il Santo” è anche il romanzo degli spostamenti e dei cambiamenti con tutto quello che questi significano in termini di simbolo. La fascinosa Jeanne Desalle viaggerà dal Belgio all’Italia per ritrovare il suo innamorato Piero Maironi ormai quasi perso di vista e che di lì a poco passerà dalle vie del mondo al monastero, diventerà infatti monaco benedettino nella abbazia di Subiaco. Da quel momento ilprotagonista si muoverà seguendo un disegno imperscrutabile. Entrambi muteranno il loro reciproco amore, dapprima denso di passione, in qualcosa di diverso e, tuttavia, di immutata grandezza. Questi spostamenti sono parte di un cambiamento più radicale che Fogazzaro suggerisce sempre più chiaramente nel dipanarsi della vicenda. È comunque alla Chiesa, alla comunità dei fedeli, che si richiede la più profonda e radicale trasformazione e il ritrovamento delle sue stesse radici. Una nuova conversione, insomma, che è il senso ultimo dell’esistenza del “santo”. Pensieri e spunti senza tempo, sempre attuali, verrebbe voglia di aggiungere.
“Il Santo”, come detto, fu scritto nel 1905 e, insieme a “Leila” del 1910, furono messi all’indice. Con questi due libri si conclude il ciclo dei romanzi di Fogazzaro. Il filo conduttore di queste due ultime opere, che tanto irritò la Chiesa di inizio Novecento, ma ne “Il Santo” in particolare, riguarda l’esasperata battaglia modernista e il tema fondamentale del dissidio tra fede e scienza, tra fede e sensi. Dopo un lungo travaglio spirituale Fogazzaro fece atto di pubblica sottomissione alla Chiesa. Anche la critica letteraria cattolica, tuttavia, ha rivisto in tempi recenti il giudizio negativo dato all’opera di Fogazzaro, individuando in essa addirittura un innovativo e sentito tentativo di “teologia narrativa”, ovvero la proposta di una teologia nella forma di una narrazione.
