pianta di tanaceto

È probabilmente il più francese dei liquori piemontesi, sicuramente è quello dall’aroma più particolare e, per questo motivo, difficile da dimenticare. Può essere denominato indifferentemente alpestre o arquebuse. L’unica differenza è che la prima parola viene usata solo in ambito piemontese, mentre la seconda sia in Piemonte sia in Francia.

L’origine del prodotto è indubbiamente francese, più precisamente dell’area Lionese-Rhone Alpes, e risale almeno alla fine del ‘700. Probabilmente il prodotto è nato in ambito monastico.

Sul significato del termine arquebuse esiste più di una spiegazione. Forse veniva usato per curare le ferite di archibugio; oppure, bevuto puro, dava la sensazione di ricevere un colpo di archibugio nello stomaco. Fatto comprensibile, data la gradazione alcolica e la completa assenza di zucchero nel prodotto.

La ricetta, comunque variabile a seconda dei produttori, comprende 33-34 erbe, tra le quali: genepì; verbena; menta; salvia; valeriana; iperico; camomilla; limone; arnica; genziana; issopo; timo; angelica; lavanda; finocchio; santolina; melissa; cedrina; tanaceto (archibus o erba di archibus, in piemontese).


La buona tecnica prevede che in questo distillato una parte delle erbe siano impiegate secche, mentre altre siano trattate allo stato fresco. La lavorazione consiste in una macerazione delle erbe nell’alcool e nella successiva distillazione del liquido ottenuto. Il prodotto migliora decisamente con un invecchiamento prolungato in botti in rovere, che conferiscono al liquore un colore paglierino.
Ricordiamo che non viene aggiunto zucchero e la gradazione alcolica è di 45% vol.

L’arquebuse può essere consumato in qualsiasi momento ed in vari modi: puro, come digestivo; correttore del caffè; rilassante caldo; dissetante con alcuni cubetti di ghiaccio; come “grog” miscelando acqua bollente al distillato ed, eventualmente, dolcificando con zucchero o miele.

Inoltre, è utilizzato per la produzione di caramelle balsamiche e cioccolatini ripieni.

Zona di produzione

La produzione avveniva in tutto il Piemonte, in particolare nella zona di Carmagnola (Torino). Oggi le ditte produttrici si trovano nelle province di Torino e Cuneo.

Attrezzature utilizzate

Le attrezzature consistono in alambicchi a vapore utilizzati per la distillazione ed in normale attrezzatura di distilleria. In condizioni ottimali devono esserci coltivazioni di piante fresche nei pressi della distilleria.

La storia

La peculiarità del prodotto è documentata da ricettari manoscritti dell’800 ed etichette della prima metà del ‘900.
Le prime notizie certe sul liquore arquebuse si rintracciano in Francia. In particolare, vicino a Lione nella casa madre dei frati Maristi (congregazione di religiosi laici fondata da San Marcellino Champagnat), sul fiume Gier. 

Com’è nato, primi successi

Qui, nel 1857 frate Emanuele, studiando le virtù delle erbe officinali, compose un distillato, cui diede il nome di Eau d’Arquebuse; probabilmente per l’uso che si faceva del prodotto per curare le ferite prodotte dagli archibugi.
Questa notizia fu riportata dal frate Martino Tilia, membro della congregazione dei frati Maristi. Egli scrisse: “Un nostro fratello, Emanuele, esperto conoscitore delle virtù terapeutiche delle erbe, mise a punto un distillato che doveva servire alla cura dei confratelli malati, riunendo in una sapiente formula le proprietà benefiche di 34 erbe aromatiche, e arrivando così alla definizione di una ricetta (segreta) di un gradevole e profumato liquore digestivo”.

Fratel Emanuele preparò per la prima volta il distillato “miscelando con attenzione essenze e sapori – prosegue fratel Martino – e curando in particolare il metodo di invecchiamento in botti di rovere per almeno quattro anni, affinché le proprietà aromatiche e mediche delle piante potessero concentrarsi al meglio nel liquore”.

Prosegue nel suo scritto, ricordando che il governo francese “richiese il prodotto per inviarlo ai soldati impegnati nelle colonie, come primo rimedio interno ed esterno per la cura delle ferite prodotte dagli archibugi dei nemici: da lì venne il nome di Arquebuse de l’Hermitage”.

Peripezie, fino ad oggi

Nel 1903 i frati Maristi, a causa delle leggi anticlericali, furono costretti a lasciare la Francia e si stabilirono in Italia. Precisamente a Carmagnola, dove ripresero la distillazione dell’arquebuse fondando, nel 1913, la distilleria San Giuseppe, dentro le mura del loro monastero. Il liquore prodotto dai frati a Carmagnola ebbe subito grande successo in Italia. Nel 1927 sorsero e iniziarono a diffondersi le imitazioni. A tal punto che dopo appena tre anni, a causa dell’elevato numero di contraffazioni, il nome arquebuse fu dichiarato di dominio pubblico. Per evitare ulteriori imitazioni e visto che ormai il termine arquebuse era di uso comune, i frati Maristi cambiarono nome al distillato di erbe aromatiche da loro prodotto a Carmagnola, chiamandolo Alpestre.

Tutela legislativa

L’arquebuse è classificato come “Prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte”, ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. 30 aprile 1998, n. 173, del Decreto Ministeriale n. 350 dell’8 settembre 1999 e dell’Allegato alla Deliberazione della Giunta Regionale del Piemonte del 16 aprile 2013, n. 51-5680.

Fonte: Aree protette Po piemontese

L’Arquebuse Chaberton della Valle di Susa

Di Claudio Bollentini

Presidente di Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti - https://www.linkedin.com/in/claudiobollentini/

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