Il colle del Collombardo era da secoli una frequentata via di passaggio. Prima che sorgesse sul colle il santuario, che oggi conosciamo, esisteva un pilone votivo fatto erigere da Giò Battista Giorgis nel 1680 per una grazia ricevuta. Per questa via ci si affacciava sul bacino orografico del torrente Sessi potendo raggiungere con facilità quello del Gravio.

Il Giorgis, nativo di Forno di Lemie” scrive il canonico Pautasso, “ uomo ricco e di molti affari, a piedi o a cavallo, dovette percorrerla più volte questa strada,con tutte le avventure e disavventure che un tale viaggio, in quei tempi,comportava. Il fatto di aver scelto un punto preciso del colle, sul territorio di un altro Comune, Mocchie, mentre a pochi passi c’era il confine del suo Comune di Lemie, obbligandosi a chiedere permessi e stabilire contatti certo non comodi colle autorità locali fa pensare che proprio nel punto prescelto egli avesse ricevuto le grazie e fatto voto di erigervi un pilone.”

Briganti, lupi, improvvisi malori, incidenti alla cavalcatura o bufere, potevano essere stati, secondo Mons. Vinassa, all’origine delle “ continue grazie” o scampati pericoli goduti miracolosamente dal Giorgis.

Nel 1705 egli inviò all’arcivescovo di Torino Michele Antonio una supplica per far costruire una cappella “ in honore della Madre di Dio sopra li monti detti del Colombard o fini di Mocchie ove vi è un Pilone rappresentante detta Vergine Maria Gesù, Santi Giò Battista et Grate e dedicata alla Madonna degli Angeli.”

Dall’arcivescovo di Torino, alla cui diocesi le parrocchie della valle del Gravio erano ancora aggregate, giunse il permesso richiesto per “beneffitio comune” con la disposizione che la nuova cappella sulla via pubblica avesse tutte le caratteristiche di un luogo sacro e religioso e non un rifugio per viandanti, dunque senza porte finestre e stanze ad uso domestico.

Il permesso di benedire la cappella per potervi celebrare la santa messa, il Giorgis lo ottenne dalle autorità ecclesiastiche torinesi il 1706.

Nei primi anni della sua vita la cappella del Collombardo vide il fiorire della devozione alla sua Madonna. Il giorno della festa, il 2 agosto, si contavano anche undici sacerdoti, le confessioni numerosissime. Nel 1742 i fedeli giungevano a riempire a tal punto il luogo sacro che il curato di Mocchie, don Appendino, fu costretto a chiedere all’arcivescovo di Torino, Francesco Arboreo Gattinara, l’autorizzazione a celebrare la messa sulla soglia della cappella, a esporre il “ Venerabile” e a elargire la benedizione.

L’autorizzazione arcivescovile fu accordata con l’obbligo di esporre il Santissimo alla presenza di almeno dodici candele bianche e due persone assistenti, sotto condizione che nei pressi della cappella non ci fossero strepiti e atti profani ma devozione religiosa.

Durante il secolo XVIII la Madonna degli Angeli attirò molti fedeli. Il canonico Pautasso ricorda come durante la cura di don Appendino (1728-1768) la cappella venne ampliata e munita di tettoie antistanti. Nel 1793 don Mercandini inviò al vescovo della diocesi di Susa, una richiesta di altri confessori il giorno della festa per “ secondare la pia intentione de divoti”, opportunamente ricompensati anche, “ per l’incommodo indicibile accompagnato talvolta da deliqui”. La festa del 2 agosto al santuario del Collombardo rappresentava infatti per molti montanari, lontani dalla chiesa parrocchiale, l’occasione di accostarsi al sacramento della confessione e non sempre il parroco riceveva l’aiuto dei cappellani della Rocca e di Lajetto, Prontamente il vescovo permise il prelievo di due lire di Piemonte dal fondo della cappella per il compenso ai sacerdoti saliti al colle.

Non soltanto tale documento ci fornisce notizia della devozione, numericamente anche consistente, di quei montanari del secolo dei lumi che avevano del peccato un elevato senso e preoccupazione secondo la predicazione giansenista dell’epoca, ma anche della presenza di cappellani in borgata Rocca. Insieme a Lajetto l’insediamento alla Rocca costituiva anche a quel tempo uno dei centri più popolati.

Tratto da: Quando la montagna viveva –Giorgio Jannon

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.