E’ importante sapere che le birre trappiste e d’abbazia, oggi sempre più richieste e apprezzate dal mercato, non identificano uno stile preciso di birra. Queste birre possono essere infatti molto diverse tra loro, e di varie colorazioni: oro carico, ambrate, rosse o brune.

Una birra d’abbazia può essere prodotta direttamente da un monastero non trappista (per esempio un monastero benedettino) o prodotta da un birrificio in accordo commerciale con un monastero esistente, o ancora, in senso lato, prodotte da un birrificio che sfrutta il nome di una abbazia fittizia o non più esistente.

Una birra trappista è invece prodotta all’interno delle mura di una abbazia trappista. Il termine “trappista” è una denominazione di origine: solo gli oltre centocinquanta monasteri trappisti sparsi nel mondo sono autorizzati a utilizzare il termine “Trappista” per i loro prodotti: biscotti trappisti, cioccolato trappista, funghi trappisti, pane trappista, sapone trappista, formaggio trappista, liquore trappista, e appunto le celebri birre trappiste. Diventa allora chiaro che la definizione “birra trappista” non indica un tipo o uno stile di birra, ma piuttosto il luogo di origine del prodotto, ossia un monastero trappista.

Per quanto riguarda l’indicazione birra d’abbazia, si tratta di una denominazione che un tempo indicava unicamente le birre fabbricate dai monaci. Al giorno d’oggi il termine è invece usato in modo eccessivamente vago e spesso impropriamente a fini meramente commerciali sia dalle grosse aziende sia dai piccoli produttori che intendono sfruttare la fama di alta qualità artigianale evocata dal termine “abbazia”. Spesso infatti l’etichetta di queste loro birre evoca l’idea monastica nel nome che si rifà a località particolari (anche solo ruderi e rovine di antiche abbazie, chiese e santuari) o a santi. È il caso per esempio della birra a marchio “Leffe”, chiamata “d’abbazia” perché riconducibile all’Abbazia Notre Dame de Leffe in Belgio, che tuttavia oggi è di proprietà di un multinazionale della birra e non dei monaci.

Più fedelmente la dicitura “d’abbazia” indica una birra fabbricata all’interno di un monastero o all’esterno dello stesso, ma su concessione o richiesta dei monaci, che ne controllano comunque il processo produttivo. In pratica, il monastero ha concesso o affidato il marchio a un birrificio esterno o ha fornito allo stesso laboratorio l’antica ricetta.

In altri casi la birra d’abbazia può veramente essere prodotta all’interno di un monastero, ma da monaci che non appartengono all’Ordine Trappista, ovvero da monaci non trappisti (come per esempio i monaci benedettini). Esistono inoltre birre prodotte nelle abbazie, ma fabbricate a uso esclusivo della comunità monastica e che sono reperibili solamente all’interno di quei monasteri.

In Italia i monasteri e i conventi che producono e commercializzano “vere” birre d’abbazia sono pochi: la Comunità benedettina del Priorato SS. Pietro e Paolo, alla Cascinazza di Buccinasco (Milano) che fabbrica presso il proprio microbirrificio tre tipi di birra: blond, amber e bruin; il Piccolo Opificio Brassicolo del Carrobiolo Fermentum, originariamente nato presso il convento dei Padri Barnabiti di Piazza Carrobiolo a Monza, che produce vari tipi di birre; il Monastero di San Benedetto a Norcia (Perugia) che produce totalmente in proprio la birra Nursia in due tipologie; l’Abbazia benedettina di San Martino alle Scale di Monreale (Palermo) che ha affidato all’Azienda agricola Paul Bricius & Co. di Vittoria (Ragusa) la produzione della sua birra Hora Benedicta Abbey. In generale le “vere” birre d’abbazia sono di ottima qualità, corpose e spesso alcoliche, prodotte in modo artigianale con l’antico metodo dell’alta fermentazione. Nella “Bottega del monaco” della Abbazia di Novalesa è possibile acquistare la birra Cascinazza.

Fonte: La birra dei conventi, Edizioni del Baldo, 2015.

Di Claudio Bollentini

Presidente di Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti - https://www.linkedin.com/in/claudiobollentini/

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