Il fiume divide le comunità, ma da esso provengono fertilità e ricchezza. Le sue acque riempiono canali e bealere e arrivano ai campi. La lotta contro le sue frequenti inondazioni doveva tenere conto di quella secondaria e importantissima rete idrica che si estendeva dalle sue sponde. Ma esisteva un’altra questione legata alla vita del fiume e della gente, quella della costruzione dei ponti di collegamento fra le comunità esistenti sulla destra orografica della Dora, con quelle sulla sinistra.

La guerra d’inizio settecento, che aveva portato i francesi sotto le mura di Torino, nel 1706, aveva portato grossi danni anche in Valle di Susa. Il ponte sulla Dora fra Chiusa e Caprie era stato distrutto nel 1705 e tre anni dopo, alla comunità di Chiusa venne chiesto un contributo per la sua ricostruzione di 60 lire antiche di Piemonte. Ripristinare il collegamento era di enorme importanza per “ un libero e più commodo commercio”, ma le opere in legno avevano vita breve, tanto che a metà del settecento si vedevano i pali recisi del vecchio ponte all’altezza di Caprie.

C’era stata la tremenda alluvione del 1728 che aveva fatto danni enormi in tutta la Valle di Susa, e l’unico collegamento fra Chiusa di San Michele e le comunità sull’altro lato del fiume era costituito dal piccolo “ porto” fatto aprire nel 1734 nei pressi di Sant’Ambrogio dai tenutari dell’abbazia di San Michele , ancora feudataria dei luoghi di Chiusa, Sant’Ambrogio, Vaje, Caprie, Celle e Novaretto. Ogni anno l’imbarco doveva essere spostato per assecondare il corso del fiume e i “ passeggeri” dovevano pagare un pedaggio.

Il porto di Sant’Ambrogio non era certo la soluzione per i commerci e gli spostamenti: molte disgrazie erano avvenute proprio in quel punto, uomini ed animali erano annegati nel passaggio da una sponda all’altra, e tanti avevano rischiato di perdere tutte le loro mercanzie e i carri su cui viaggiavano. Per gli abitanti di Chiusa avere a disposizione i mercati di Sant’Ambrogio, Avigliana e Giaveno era dunque un grande vantaggio: latte, granaglie e bestiame potevano essere smerciati senza l’inconveniente dell’attraversamento della Dora e così veniva facilitato il procurarsi medicine dallo speziale o le cure mediche. Ma non sempre era così: ad esempio nel 1763 i torrenti che scendevano dalle montagne con esposizione a settentrione erano fuoriusciti dai loro alvei ed avevano resa impraticabile la strada reale a Sant’Ambrogio, Chiusa, Vajes e Sant’Antonino. E ancora quell’anno non esisteva alcun ponte per andare al di là della Dora per la lunghezza di 15 miglia, cioè da Bussoleno ad Alpignano.

Il nuovo ponte fra Chiusa di San Michele e Condove fu dunque costruito nel 1767 e 1768 e diverse comunità erano state chiamate a contribuire alla spesa, precisamente Mocchie per la metà, Condove e Chiusa San Michele per un quarto ciascuno e Frassinere per il legname necessario e il suo trasporto. Cinque o sei anni dopo minacciava già “ rovina” e allora ci furono discussioni su chi dovesse pagare la manutenzione e quale cifra. Nel 1777 venne concordato che le comunità interessate nel consorzio stornassero delle somme, in modo che annualmente si provvedesse ai lavori di riparazione, e che la Chiusa partecipasse per un quarto dell’ammontare degli interventi urgenti. Anche Chiavrie in quell’occasione avrebbe contribuito per un sesto della somma e fino ad allora aveva provveduto alla manutenzione di 300 metri della strada che conduceva allo stesso ponte.

Si poteva ben dire che la Valle di Susa in quei tempi ormai così lontani fosse davvero divisa in due parti, ciascuna delle quali si estendeva sulle sponde orografiche della Dora. La comunità di Vajes, nel 1770, era stata decisa nel respingere le richieste di contributo per il nuovo ponte che conduceva a Condove, perché essa non aveva “ negozio né commercio colle comunità che si ritrovano al di là di detto fiume”.

Mocchie e Chiusa avevano provato quell’anno a coinvolgere 20 altri paesi della Provincia nelle spese del loro ponte, che giustamente era considerato di estrema importanza trovandosi in una posizione centrale nella valle, soprattutto se era vero quello che era stato affermato, e cioè che neppure ad Avigliana esisteva un ponte solido in grado di garantire passaggi commerciali e di viandanti. Ma a uno a uno i comuni limitrofi risposero in modo negativo con precise giustificazioni verbalizzate nero su bianco nei rispettivi consigli.

Le critiche nei confronti della costruzione del ponte erano pesanti. Ad esso si addebitavano ulteriori corrosioni dei terreni a valle e lo si giudicava inutile per i cantoni di Celle e Novaretto, distanti più di un miglio e mezzo , quasi 4 chilometri. In fondo, sarebbe stato più comodo e soprattutto gratuito, essendo stato abolito il pedaggio da pagarsi al “ portonaio”, com’era usanza. Le liti fra le comunità di Chiusa e Chiavrie andarono in quegli anni ad aggiungersi a tutte quelle del passato che avevano coinvolto generazioni di uomini e donne che vivevano non lontano dalle sponde del fiume. Nel 1768 Chiavrie reclamò addirittura il possesso di un isolotto in mezzo al fiume su cui erano cresciute delle piante di verna. Sembrava una lotta infinita che rimbalzava da una sponda all’altra, proprio come le accuse che le comunità si scambiavano, e senza possibilità di prosciugarsi, come le acque della Dora che ogni anno si gonfiavano in primavera per quietarsi nei freddi inverni.

Tratto da: Chiusa di San Michele – Storia di un paese sotto gli occhi della Sacra. di G. Jannon

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.