La Cappella di San Bernardo sorge a valle dell’abitato di Laietto, borgata montana compresa nel territorio di Condove. L’edificio ospita al suo interno un ciclo affrescato databile con certezza al 1436, in quanto presso la parete meridionale dell’abside, si è conservata un’iscrizione in caratteri gotici nella quale si legge: “ ANNO DOMINI: M: QUATER/ CENTESIMO TRIGESIMO SEXTO DIE NOVEMBRIS/ HOC: HOPUS: FIERI:/ ANTONIUS: FILIUS CON DAM MICHAELIS / DE LECTIS”. La mancanza di ulteriori attestazioni documentarie intorno alla figura del committente, Antonio de Lectis, getta un’ombra sulle particolari circostanze che portarono all’esecuzione dell’opera. Tuttavia, la collocazione del monumento in un’area cimiteriale e la natura, quasi da epigrafe funebre, dell’iscrizione voluta da Antonio identificano chiaramente San Bernardo come la cappella funeraria di una delle famiglie del luogo.
Soltanto a partire dai secoli XVII e XVIII il monumento è ricordato dalle fonti di archivio. Una visita pastorale datata 6 giugno 1643 registra le pessime condizioni della struttura, in gran parte rovinata al suolo, e ancora in un secondo verbale di visita del 1744 vengono ricordate le infiltrazioni piovane patite dalla copertura. Di contro, dal 1785 il sacello fo oggetto di una serie di ristrutturazioni e ampliamenti, e assolse alle principali funzioni liturgiche della comunità, in quanto l’uso della vicina cappella di San Vito, fu sospeso per lavori di manutenzione. A tutto ciò, inoltre, corrispose l’impegno dell’allora parroco Don Gaspare Mercandini nel rinverdire presso i borghigiani l’antico culto per San Bernardo. Sul finire del Settecento la cappella fu dotata di un nuovo altare posto in una posizione più avanzata di modo che l’antica abside servisse da coro. Tra il 1829 e il 1938, quando la chiesa principale sei SS . Vito e Modesto fu chiusa al culto per permettere la ricostruzione, la cappella tornò ad essere utilizzata servendo ancora alle funzioni parrocchiali. La data 1895 apposta sul retro dell’altare lascia presumere che all’epoca l’edificio sia stato sottoposto ad una nuova ridecorazione, attualmente conservatasi solo in parte. Ulteriori interventi sono attestati al 1950 e andarono a consolidare in particolare gli elementi del tetto di copertura. Quest’ultimo fu oggetto di un’ultima ristrutturazione nel novembre del 1990, mentre nella primavera del 1991 si è svolto il definitivo lavoro di restauro delle strutture murarie e degli affreschi.
L’edificio è costituito da un’aula rettangolare terminante in una più piccola scarsella orientata. La struttura è sormontata da un tetto a due falde posto in coincidenza dell’abside a una quota inferiore rispetto alla copertura del corpo principale. Sul lato occidentale una porta consente l’accesso verso l’interno, dove l’aula di preghiera è decorata lungo le pareti laterali da una semplice modanatura architettonica interrotta da una coppia di lesene intermedie. Lo spazio è chiuso in alto da una volta a crociera, verso ovest, e da una volte a botte lunettata, verso est. Dietro l’altare, quasi celata alla vista, si apre una breve area absidale voltata a botte e interamente rivestita da una decorazione ad affresco. Sulla parete di fondo campeggia su un unico fondale decorato da motivi vegetali, la figura di una Madonna in trono con il Bambino. La Vergine siede su un trono a cassone e scopre il seno nell’atto di allattare il Figlio. Alla sua sinistra compare Santa Caterina, riconoscibile grazie ai tradizionali attributi del libro, allegoria della sua saggezza, e della ruota dentata, in ricordo delle torture subite. L’assenza di un’ulteriore figura della Vergine crea un’evidente asimmetria nella composizione e porta a credere che lo spazio ogi libero, fosse occupato in origine da una scultura collocata sulla mensa dell’antico altare addossato alla parete. L’opera probabilmente rappresentava San Rocco, un tempo patrono della comunità del Laietto. In proposito, basti ricordare gli analoghi casi riscontrabili presso la cappella di Notre Dame du Coignet ( Bardonecchia) o la chiesa di San Gregorio Magno a Savoulx. Gli ultimi restauri, inoltre, confermando l’assoluta contemporaneità tra le giornate affrescate con le figure della Vergine e di Santa Caterina e quella compresa nella restante porzione del muro, hanno escluso la possibilità di un rimaneggiamento successivo all’esecuzione del ciclo.
Lungo le pareti laterali si susseguono le figure di alcuni santi compresi in un unico registro ornato in alto da una cornice a motivi geometrici inscritta tra due fasce rosse. Sulla parete nord si scorge in primis una santa posta presso una pietra sagomata ( forse allusione a una lastra sepolcrale), e con in mano un libro. L’insolita iconografia ne suggerirebbe l’identificazione o con Santa Barbara o con Maria Maddalena, tuttavia in una visita pastorale datata 8 giugno 1646 la figura è menzionata come Santa Brigida. Segue la figura di San Michele Arcangelo, intento a pesare le anime e a trafiggere il demonio che cerca di portare con sé uno dei piatti della bilancia con un’anima a rischio. Il santo indossa una lunga veste verde damascata e spiega due ampie ali dalle piume di pavone. Il registro si chiude con in San Bernardo vincitore sul demone che affliggeva i viandanti lungo il valico del Monte Giove, come narrato in una leggenda composta nel XV secolo dallo Pseudo Riccardo di Valdisère. Sul lato opposto, al di là di un primo riquadro, si vedono un Sant’Antonio Abate benedicente e una Santa Margherita, qui ritratta, secondo una Passio greca, nell’atto di liberarsi grazie alla forza della preghiera dal terribile dragone che l’aveva divorata.
L’apparato decorativo è completato dalle quattro scene della volta raffiguranti il Tetramorfo. I vari emblemi degli Evangelisti sono inscritti in cornici a fasce bianche e rosse, si stagliano su uno sfondo a riquadri e sono corredati da cartigli con su scritto il nome del corrispettivo santo. Il ciclo di San Bernardo è stato attribuito dalla critica a maestranze cronologicamente vicine a quelle intervenute nella Cappella a Chianocco e nella Chiesa della Madonna della Losa ( Gravere). Guardando alle evidenti sproporzioni ravvisabili tra le figure dipinte a Laietto, Paolo Nesta ha segnalato il chiaro utilizzo di immagini tradotte da cartoni di diversa provenienza secondo una pratica di adattabile interscambiabilità, evidentemente tollerata dai committenti. In più, ha sottolineato come la scomparsa delle rifiniture a secco abbia palesato la presenza di modelli datati, lombardi e ancora trecenteschi, prova di un espediente di mestiere e, al contempo, di un atteggiamento culturale deliberatamente arcaico.
L’ultimo restauro del 1991 ha reso l’opera del “ Maestro del Laietto” nuovamente apprezzabile nei suoi particolari. Le superfici dipinte sono state liberate da spessi veli di efflorescenze saline dovute a infiltrazioni piovane e a umidità di risalita. Gli intonaci, sconvolti da un passato dissesto, sono stati risarciti nelle loro crepe e fessure con stuccature di malta di calce e sabbia stese a sottolivello rispetto all’affresco. L’intonaco cementizio che rivestiva la zoccolatura delle pareti absidali è stato smantellato e la lacuna è stata risarcita con diversi strati di malta. Infine, sulla pellicola pittorica si è stesa una mano di protettivo, prima di intervenire con il ritocco, mediante colori reversibili ad acquerello.
Tratto da: Pitture murali in Valle di Susa – Andrea Maria Ludovici