I Mystères rappresentavano sul piano scenico ciò che, su quello iconografico, rappresentavano le pitture murali sulle nostre chiese e cappelle di montagna. Ambedue avevano lo scopo di attirare l’attenzione dei fedeli sul problema del peccato e dell’anima, su cui poi insistevano i predicatori dal pulpito.
Il diavoletto, infimo e nero, quello dell’arte pittorica alto-medioevale, non è adatto a stare su un palcoscenico: viene sostituito da figure grottesche e spaventose, nate per impressionare l’uditorio. Il Principe del male diventa una figura satirica, un demonio anche fracassone e vanaglorioso, rappresentata spesso con un disprezzo che si esprime nella comicità rozza e sguaiata per provocare una sorta di sollievo: divertire gli spettatori, esorcizzare la paura.
L’origine delle Sacre Rappresentazioni, o Mystères, è da ricercarsi nel ptofondo della Chiesa cattolica: nel simbolismo della celebrazione Eucaristica. L’intento del clero è quello di presentare ai fedeli gli episodi salienti della vita di Gesù nel modo più semplice e realistico possibile.
In Italia si ispirano anche alla “laude” e alle “devozioni medioevali” che hanno luogo per lo più durante la Settimana Santa. Le più famose sono senza dubbio quelle di Fra Jacopone da Todi, diffuse nel paese e all’estero soprattutto nel XIII e XIV secolo: anni di guerre e di miseria, ma impregnati di spirito religioso, dove l’unica vivacità intellettuale si riduce quasi esclusivamente alle manifestazioni liturgiche.
La Sacra Rappresentazione, sull’onda della predicazione francescana, trova in Umbria la sua terra d’elezione dando vita ad alcune Confraternite: i Flagellanti, i Disciplinati, i Poverelli di Dio, che si danno come scopo principale quello di rinnovare il senso cristiano della povertà e della carità. Umanizzare, dunque, la fede attraverso il rifiuto della mondanità, la mortificazione della carne, la sottomissione alla legge divina: così gli uomini si riscattano dal peccato in vista del giudizio finale.
Nei sermoni dei predicatori, poi, è già implicita la teatralità. Gli elementi scenici che compongono le laudi: canti, voci e personaggi, sono tratti da antichi testi e, più tardi, saranno fonte di ispirazione i Vangeli: aumenteranno i soggetti, entreranno in scena i cori, la macchina teatrale abbandonerà la chiesa per la piazza e perderà gli ultimi adentellati con gli “officia” e le “orationes sollemnes” della Settimana Santa.
Nel suo lungo itinerario attraverso i tempi la Sacra Rappresentazione non ha perso quasi nulla della sua medievalità e del suo carattere popolare: si affida più all’entusiasmo e alla pietà degli spettatori che al movimento scenico.
Per il teatro sacro l’unica missione è la rivelazione delle promesse del Paradiso e delle minace dell’Inferno: la sua caratteristica principale è quella di “catechizzare” i fedeli e di ammonire gli increduli. Le Sacre Rappresentazioni hanno come soggetti la Natività, la Passione, il Mortorio, la Resurrezione, il Giudizio Universale.
Quella che riuscirà a imporsi nel corso dei secoli sarà la Passione: dal Christus Patiens, attribuito a Gregorio Nazianzeno, del IV secolo, fino a quella di Revello. È stata scritta, riscritta e rappresentata in quasi tutti i paesi europei. Il suo svolgimento non ha bisogno di alcuna elaborazione e per la “storia” c’è il Vangelo a cui tutti possono attingere a larghe mani.
Le folle che si accalcano davanti ai sagrati, o attorno ai palcoscenici non sono esigenti: per commuoversi basta loro osservare Cristo in croce. Ignorano i problemi della critica teatrale e lo stile. Gli autori trattano la materia come i sermoni e si hanno episodi grotteschi, con Satana che fa la figura del pagliaccio, mentre Gesù sta vivendo le ultime ore di Passione.
I Misteri nascono, intorno all’XI secolo e diventano di gran voga in Francia, come semplici pantomime: brevi drammi liturgici, generalmente in latino, in cui all’interno delle chiese, di fronte ai fedeli, alcuni sacerdoti rappresentano nascita, morte e resurrezione del Cristo. In occasione del Natale, ad esempio, i pastori vanno a deporre i doni, seguendo la stella cometa, presso la culla di Gesù, arrivano poi i Re Magi e per finire Erode impone l’uccisione degli infanti. In occasione della Pasqua alcune pie donne, le Marie, si recano al Sepolcro e gli angeli ne annunciano la Resurrezione.
Ognuno dei personaggi pronuncia piccole frasi: nei primi tempi in latino, in seguito in volgare.
I “luoghi” per la recita sono disposti lungo la navata e il Sacerdote si sposta da uno all’altro man mano che la rappresentazione prosegue.
Dalla Francia si diffondono e destano interesse in buona parte dei paesi europei.
Dal XII secolo i dialoghi si affinano sempre più, gli spettatori si fanno più numerosi, si esce sui sagrati e talvolta le rappresentazioni, quelle dei Padri Francescani, che amano accompagnare i sermoni con la recita della Passione, avvengono addirittura nel cimitero. Successivamente si allestiscono anche in occasione di particolari circostanze: nel 1380, ad esempio, per l’entrata in Parigi di Carlo VI.
Già all’inizio del XV secolo con “Mistero” si designano esclusivamente quelle rappresentazioni aventi per oggetto episodi del Vecchio e Nuovo Testamento e della vita dei Santi: spettacoli sacri che si presentano divisi in cicli.
Con il passare del tempo perdono l’afflato religioso iniziando a preoccupare il Clero: per il popolo sono più importanti della Messa e, per di più, i toni della recita non sempre sono appropriati al tema trattato. Gli attori, sempre più mestieranti, si abbandonano a scene grottesche, infastidendo gli uomini di chiesa, per divertire gli spettatori.
Ai sacerdoti è proibita la partecipazione e allora sono i laici ad assumersi l’onere della messa in scena: nascono Associazioni e Confraternite che ne curano l’allestimento. Si passa dal sagrato alle piazze: in pieno XIV secolo prendono così vita i veri e proprii Mystères o Miracles, o Sacre Rappresentazioni: gli attori si muovono su più palchi, piccoli, disposti a semicerchio e allineati uno accanto all’altro, accuratamente predisposti con cartoni dipinti e tapezerie. In ognuno si rappresenta una scena ben definita.
I palchi, prima, il vero palcoscenico, poi, vengono dotati di scenografie molto pittoresche soprattutto nella raffigurazione dell’inferno: solitamente una mostruosa bocca di dragone animata con una serie di effetti speciali: i botti fabbricati con la polvere da sparo, il fuoco, che divora le anime dei peccatori, ottenuto con la polvere di resina, tizzoni fiammeggianti grazie all’acqua vite, polvere di zolfo che brucia in tubicini infilati in orecchie e dita delle mani.
I diavoli sono protagonisti di dialoghi volgari e scurrili.
La recita è intercalata da pause in cui entra in scena un “Sot”, loSciocco, abbigliato con un costume da arlecchino, talvolta con un berretto a orecchie d’asino: intrattiene il pubblico con battute scherzose e, ancora una volta, di dubbio gusto. Talvolta il Sot è semplicemente uno dei diavoli.
Per sottolineare i momenti più significativi ci si avvale della musica.
Gli attori sono tutti rigorosamente uomini e professionisti girovaghi, in seguito, almeno nei paesi più piccoli, a loro si sostituiscono gli stessi abitanti, anche donne: è un gigantesco sforzo collettivo che culmina con una messa in scena di due-tre giornate consecutive e che attira spettatori dai dintorni.
Il 18 novembre 1548 il Parlamento di Parigi ne interdisce la rappresentazione nella capitale: il sacro e il profano sono ormai troppo confusi.
Banditi non solo dalla capitale, ma da tutte le grandi città, i Misteri trovano rifugio, con più sobrietà, nelle campagne e nelle vallate alpine dove, sia recitati in patois che in lingua, continuano ancora, per qualche secolo, a calamitare l’attenzione: nella gente di montagna è sempre vivo l’interesse per il soprannaturale.
In Piemonte un’area in cui le Rappresentazioni Sacre, recitate in francese e diffusesi a partire dal XVI secolo, sono coltivate, con impegno e zelo, è la Valle Susa e in particolare la parte superiore della Dora Riparia che comprende le valli di Bardonecchia, Oulx e Cesana, quelle che i francesi definivano “ le Vallées cédées”, in quanto fino al trattato di Utrecht del 1713 facevano parte del Delfinato, insieme con l’Alta Valle del Chisone e l’Alta Valle Varaita a partire da Sampeyre, per cui francesi per lingua e cultura.
Contrariamente a altre zone di Francia, in cui ancora nel XVIII secolo non tutti, soprattutto i contadini, comprendono e parlano il francese, nel Brianzonese questa è una pratica assodata, eppure qui gli spettacoli sono tutti in dialetto.
Il canonico Loui Gos, nel 1962, nel suo studio sul “Mystère de l’Amntecrist et du jugement de Dieu jouè a Modane en 1580 et en 1606”, edito a Chambery, sostiene che non ci sia in Francia un luogo dove il teatro religioso abbia avuto la stessa importanza che in Maurienne nel XVI secolo e noi potremmo dire la stessa cosa, a pieno titolo, per la Valle di Susa che ha avuto per lunghi secoli con questo territorio un destino comune.
i Mysthères fanno la loro apparizione anche in alcune località della Bassa Valle sempre rigorosamente recitati in francese antico, come testimoniano i testi rinvenuti: segnale di una loro provenienza alto valligiana.
La Valle, tuttavia, è stata quasi sempre ignorata dagli studiosi del teatro sacro, di entrambi i versanti alpini, nonostante, in passato, ben pochi siano i paesi privi del loro sacro testo.
Parlando dei Misteri il Des Ambrois, nelle sue “ Notices sur Bardonecche”, un opuscolo edito in sole 50 coppie a Firenze nel 1872 e poi inserito nel volume postumo “ Notes et Souvenirs inédits du chevallier Louis Des Ambrois de Nevache, curato, nel 1901, da Vittorio Odiard des Ambrois per i Tipi di Zanichelli di Bologna e riedito, in anni più vicini, da Gribaudi di Torino, scrive:
“Dans la Vallée d’Oulx on a continué jusqu’à notre temps à reprèsenter des Drammes religieux. C’étaient des pièces en vieux francais qu’on allait modernissant lesquelles duraient ordinairement trois jours. Elles mettaient le plus souvent en action les tourmens et la mort d’un ou plusieurs martyrs. Le nombre des acteurs était immense. Empereurs, magistrats romains, Evéques chrétiens, hommes et femmes de tous les états, anges et diables, ames qui allaient au cielou en enfer,tout y figurait. Les diables, revetus d’un sac de toille couvert de la mousse noiratre des vieux mèlezes,étaient horribles à voir.
Une commune entière se voulait par dévotion a donner ce spectacle. Elle abbattait une portion de foret pour costruire le théatre, qui ètait une vaste scene en plain air au pied d’un plan incliné, ou l’on disposait une infinité de poutres pour servir de siège au spectateurs…
Il est permis de penser que durante ces longues représentation les auditeurs s’ennuyaient quelque fois. Pour le distraire on faisait paratre dans ces entractes un fol ou bouffon, qui avait le privilège de déclamer des acéties grossières et meme obscènes”.
Il Des Ambrois probabilmente non ha mai assistito a una recita: quando parla di Misteri rappresentati in Valle è probabile che si limiti a ribadire quanto esposto da altri, riguardanti magari la zona del Brianzonese francese.
Versi troppo liberi, rime ridicole e spesso indecenti, in tutti i testi finora reperiti, non sono riscontrabili: possono presentarsi battute magari discutibili sotto l’aspetto dell’ortodossia religiosa, ma mai sotto l’aspetto morale.
Per quanto riguarda il buffone non è da escludere, che nei testi andati perduti, tra i quali il Santa Barbara di Gravere, il San Biagio di Venaus, il Santo Stefano di Novalesa rappresentato nel XV secolo anche a Susa, i SS. Cornelio e Cipriano di Mattie, sia presente con le sue spiritosaggini e pronto a far ridere una platea composta per la maggioranza di gente semplice e di modeste pretese, tuttavia ci sono forti dubbi sul suo abbandonarsi a facezie grossolane e indecenti anche perchè nulla di ciò avviene nei manoscritti giunti a noi. Considerando, poi, la forte censura delle autorità periferiche, dietro le quali si nasconde quella del Sovrano, è difficile che su questi palcoscenici improvvisati, attori dilettanti: tutta gente di paese, possano abbandonarsi, sia pure fra una pausa e l’altra, a discorsi e gesti licenziosi. I Valdesi, inoltre, molto presenti nella zona, da sempre avversi agli spettacoli sacri, non mancherebbero di bollarli a fuoco come prova di ulteriore degenerazione della chiesa cattolica: non avviene.
I tratti salienti dei nostri Misteri sono la fede, da una parte e, dall’altra, la semplice realtà popolaresca, spuria da ogni pretesa intellettuale: il realismo, d’altra parte, è ciò che connota le comunità alpine, a cui la vita non offre molte distrazioni.
I Mystères sono messi in scena una volta ogni 20, anche 30 anni in occasioni particolari, per adempiere a un voto comunitario o chiedere a Dio una grazia.
Esaminando i più importanti accadimenti della Valle, nei secoli passati , non può sfuggire il fatto che alcuni dei periodi in cui sono messi in scena coincidono con situazioni di grande difficoltà per le comunità protagoniste: il 1593 e il 1629 sono funestati da gravi inondazioni, con ingenti danni ai villaggi e alle colture. Nel 1630 in tutta la Valle inveisce la peste, non contrastata da mezzi efficaci ma da credenze e superstizioni: a Bardonecchia è attestata, in vari periodi, la presenza dei Flagellanti, che tanta parte ha nel diffondere idee di autoespiazione come protezione del male, contribuendo invece alla sua virulenza. Nel 1720, la stessa malattia, partita da Marsiglia e dai suoi dintorni, è contenuta dalle severe precauzioni: posti di guardia in tutti i più scoscesi passaggi montani per impedire l’accesso alla Valle a quanti provengono dalla Francia, ai quali è fatto obbligo di quarantena nel lazzaretto di Bousson. Nel 1728 l’intera Valle subisce gli effetti di un’altra tremenda inondazione, che si ripete ancora nel 1865 e nel 1868 con particolare accanimento sull’Alta Valle. Poi incendi, straripamenti di torrenti, grandinate, terribili temporali che rovinanano le coltivazioni, parassiti letali per le piante e soprattutto per le viti, passaggi di soldataglie. Tutte occasioni per chiedere la benevolenza divina e l’allontanamento delle sventure mettendo in scena la Passione o la rievocazione delle vite di Coloro che si crede possano proteggere da queste sciagure.
Il lasso di tempo, da non superare, fra una recita e l’altra spesso è indicato negli stessi voti comunitari, espressi con un vero e proprio atto notarile: rappresentazioni più vicine sono economicamente insostenibili per le piccole comunità valligiane. Le spese che gravano sui Comuni sono ingenti: palco, scenografia e costumi da costruire e/o affittare, pittori e musici da assoldare e si recita, generalmente, per tre giorni dall’alba al tramonto: ogni attività è sospesa.
Fonte di ispirazione per i testi, oltre ai Vangeli e alla Bibbia, è anche la famosa Leggenda aurea che illustra doviziosamente vita e martirio dei Santi, fra cui ovviamente i Patroni dei nostri borghi.
I copioni degli “attori” inizialmente sono opera di uomini di chiesa che, pur cercando diversità di ispirazione nella pluralità dei soggetti, non mancano di copiarsi l’un l’altro, in seguito sono semplicemente trascritti da umili copisti.
I più vecchi manoscritti che si hanno, ossia quello di Salbertrand, il primo a essere rappresentato in Alta Valle dal 24 al 27 giugno del 1546 (vedi articolo di Emerenziana Bugnone) e quello di Exilles, senz’altro anteriore alla peste del 1630, rappresentato in chiesa o fra le tombe del cimitero, altro non sono che copie di testi più antichi di cui i copisti non hanno fatto parola semplicemente perchè ne ignorano gli antecedenti o non vogliono pubblicamente ammettere di essere solo dei copiatori, o al massimo, rimaneggiatori di lavori altrui.
Fra i nostri valligiani pochissimi sanno leggere, molti anche a stento e a essi sono destinati gli estratti dei copioni riguardanti la parte a loro affidata: la studiano nelle lunghe giornate invernali. Gli altri imparano le battute a memoria, aiutati dal curato o da chi è più istruito e pagato allo scopo. Dopo tutta questa fatica succede spesso che i ruoli interpretati divengano ereditari all’interno di una famiglia: l’apprendimento ne risulta agevolato. Accade anche che le persone sono
tassate per interpretare un determinato ruolo: è un onore molto apprezzato e si fa a gara per ottenere una parte importante, nonostante si sborsi una cifra tanto più alta quanto più prestigioso e impegnativo è il personaggio interppretato. Molti soprannomi di famiglie derivano dal ruolo avuto nella Sacra Rappresentazione paesana e viene portato con orgoglio anche quando si tratta di nomi riferiti a protagonisti non certo “buoni”, come i diavoli, o con ruoli di non primissimo piano: l’importante è esserci.
Dopo lo studio invernale si è pronti ad andare in scena a primavera, di solito a Pentecoste e non si
può escludere che si reciti in patois: lo usano anche i preti dai pulpiti. I manoscritti reperiti però sono scritti tutti in lingua, è vero che sono pochi e non vanno al di là del XVII secolo, al contrario dei testi provenzali che risalgono dal XIV al XVI secolo, e la tendenza alla lingua nazionale non è ancora così generalizzata da imporsi sulle parlate popolari, però non vi sono evidenze certe.
Le ultime Rappresentazioni in Valle di Susa di cui si hanno notizie documentate, quindi sicure, risalgono alla metà del XVIII secolo. Non si può però assolutamente escludere quanto afferma il Des Ambrois, per cui alcune sono messe in scena ancora al principio del XIX secolo e subito dopo la Restaurazione, tesi sostenuta anche dal Casalis nei suoi scritti, che vuole una recita del Martirio dei SS. Cornelio e Cipriano a Mattie nel 1815: in realtà da documenti più recenti la data sembra essere quella del 1817. Se si guarda, inoltre, al manoscritto di Giaglione del 1831, dovuto all’amanuense Claudio Rey dell’Ecclause, visionato nel 1985 dallo studioso Clemente Blandino, allora si può supporre, ma non vi è alcuna prova, che un’ultima rappresentazione della Passione avvenga in paese intorno a quell’anno: il Rey però potrebbe aver semplicemente avuto l’incarico di produrre una copia, magari per l’Archivio comunale o parrocchiale o per quello privato di qualche notabile del luogo, o per altri mille motivi.
È assai probabile, comunque, che le recite in alcuni paesi della Valle si protraggano fino a tutto l’ottocento e anche, con qualche sporadica comparsa, ai primi del 1900: l’ultimo allestimento, in assoluto, della Passione di Nostro Signore che si ricorda è quella avvenuta nel 1925 a San Giorio e ripetuta a Susa nella stessa stagione.
Una cosa è certa: nel XVIII secolo i drammi religiosi iniziano per lo meno a diradarsi in tutta la Valle poiché il governo impone di non superare le 400 lire di spesa: i costi enormi dell’allestimento non devono gravare pesantemente sulle comunità. Vieta, contemporaneamente, il taglio dei boschi comunali, severamente compromessi, quando non distrutti, per la costruzione dei palcoscenici, in alcuni casi lunghi più di 60 metri e per quella dei sedili degli spettatori.
I Mystères rappresentati in Valle seguivano due filoni distinti:
- da un lato veniva rappresentata la vita di Gesù: Natività a Giaglione Passione a Giaglione e San Giorio Ultima Cena a Exilles
- Dall’altra parte si metteva in scena la vita degli Apostoli e dei Martiri: San Giovanni Battista a Salbertrand Santi Pietro e Paolo a Exilles San Sebastiano a Chiomonte Sant’Andrea a Ramats Santi Maurizio e Costanzo a Meana Santi Cornelio e Cipriano, Santa Sallustia a Mattie Santo Stefano a Susa e Novalesa San Vincenzo a Giaglione San Biagio a Venaus Santa Barbara a Gravere Santa Caterina d’Alessandria al Monginevro Santa Margherita a Mattie e al Désértes
- Mentre si aveva un solo tema biblico: Giuseppe venduto ai fratelli a Exilles.