La “ vestimenta”, i vestiti, che si indossavano per affrontare i rigidi inverni di una volta, in quelle case fredde, ghiacciate, dove si battevano i denti dal gelo, erano importantissimi.

Vestirsi era importante e gli abiti dovevano essere adeguati. Per tutti c’era la famosa “ maglia sulla pelle”, chiamata così , perché era la prima cosa che si indossava d’inverno . A maniche lunghe lavorata a mano e generalmente di lana di pecora. Caldissima dunque ma ruvida come una grattugia. Pizzicava da morire, ma quello c’era, e averne di quelle maglie!

Gli uomini poi, portavano delle mutande lunghe sempre di lana e dei calzoni sopra, pesanti, scuri, ma caldi e poi ancora maglie, quelle fatte coi ferri dalle donne, sopra camicie a quadroni di una flanella particolare. E la giubba per ultimo copriva il tutto. Zoccoli di legno ai piedi su calzerotti sempre di lana fatti a mano, per tutti, donne e uomini.

Le donne in più avevano la sottana ( sottoveste) sempre cucita da loro e poi oltre alle camicie di flanella e le maglie per sopra, dei gonnelloni spessi e pesanti che arrivavano ai polpacci. Si mettevano le calze di lana sorrette dall’elastico sopra il ginocchio , e sotto i mutandoni.

Sopra il tutto, le donne avevano l’immancabile scialletto lavorato all’uncinetto.

Erano “ vestimenta” fatti con materiali di qualità e servivano veramente a dare il calore necessario.

C’era solo il fuoco del camino o della stufa a dare calore, e le stanze erano gelate, soprattutto le camere da letto.

Alla sera ci si svestiva svelti e si appoggiavano i vestiti sulle sedie o anche a volte proprio sullo scaldaletto con la speranza che rimanessero tiepidi ancora al mattino, ma non era così.

La maggioranza delle volte i vestiti, al mattino, erano così freddi che si faceva fatica ad indossarli.

Ma c’era uno stratagemma, un po’ prima di alzarsi, si allungava la mano e si prendeva tutto quello che serviva per vestirsi, gonna, pantaloni, calze, camicie, tutto, e lo si infilava sotto le coperte aspettando che si scaldassero.

Anche nei rigidi inverni c’era la bellezza,come in quel fare un po’ strano, volendo si poteva vedere una magia.

Funzionava benissimo, tanto che anche ora, se capita, si fa ancora se necessita.

Brutti tempi? Certo non erano dei migliori.

I migliori venivano dopo, appena arrivava la primavera con i prati fioriti e i colori sgargianti e tutto sembrava un miracolo perché si passava dal buio alla luce, alla solarità.

Le persone si toglievano i vestiti scuri dell’inverno e ritornavano solari e sorridenti.

Era bello vedere che il mondo delle persone,dentro e fuori , andava di pari passo.

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.

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