Tra le borgate di Magnotti e Muni, sulla strada del Collombardo, corre una mulattiera indicata come “ strada del fieno”. Strade percorse da uomini e mandrie, con itinerari ciclici e periodici, in occasione dell’annuale transumanza. Strade usate soprattutto per l’enarpa e la desarpa, ma anche per fare scendere a valle, nel corso della breve estate alpina, i prodotti dell’alpeggio: formaggi, burro e fieno.
L’itinerario, sempre uguale a se stesso, conosciuto a memoria non solo dai pastori, ma anche dagli animali più anziani, non avrebbe bisogno di segnalazioni, tanta è la dimestichezza con i luoghi, benché non frequentati in tutto il corso dell’anno. Eppure, questi sentieri in salita, che poco per volta si lasciano alle spalle la frescura e l’ombra del bosco, per disegnarsi attraverso praterie appena interrotte dall’affiorare di qualche roccia, sono segnati dalla presenza di piloni. Raramente piloni votivi, a ricordo di qualche sciagura o di qualche morte improvvisa. Altrettanto raramente piloni per grazie ricevute, ricche di decorazioni, di immagini sacre, o di affreschi. Più spesso piloni in pietra a secco, austeri eppure adeguati, nonostante la loro severità, al paesaggio circostante.
Sono, in larga misura, piloni di sosta, fatti apposta per riprendere il fiato della salita. Sono, poi, modi di tutelare chi in quei luoghi si trova a passare, magari con qualche inquietudine:” le zone degli alti pascoli costituiscono luogo d’elezione da parte degli esseri del mondo fantastico: fate, streghe, folletti, uomini selvatici dominano questi regni del silenzio e talvolta si divertono a incrociare le loro esistenze con quelle dei pastori che durante i mesi estivi vengono ad invadere i loro territori. Solamente chi ha percorso tracce di sentieri a queste altezze può comprendere come sia possibile fra nebbie che filano improvvise e veloci a nascondere gli orizzonti, nel silenzio così profondo da farsi rumore per l’orecchio, intravedere un mondo “ altro” che si dipana parallelamente a quello umano: allora è facile scorgere i capelli di una fata lì dove vi è il riflesso del sole sulla roccia, un folletto che corre nel guizzo di un insetto sulla festuca, il ghigno di una strega nel chioccolare di un ruscello. Non a caso si contano tanto numerosi i sacri edifici sorti a vigilare la sicurezza e l’incolumità dei pastori; a tutela del montanaro stanno la Madre e il Santo, occhio che vede l’invisibile, braccio che frena l’ineluttabile.”
E sono, infine o soprattutto, segnali visivi che accompagnano il periodico ritorno.
Le tante “ strade del fieno”, per le quali non è il segno sulla carta, ma il segno religioso sul terreno, a renderle serenamente umane: è un anno che manchi da quei prati, eppure, quando vedi apparire sulla costa della montagna quella torretta di pietre sulle quali i licheni hanno disegnato i loro ghirigori arancioni, e la riconosci da lontano, sai che stai tornando in una delle tue case, in un posto che ti è familiare ed amico.

Tratto da: Percorsi del Sacro – B. Debernardi