Oggi il pilone spesso lo incontri appartato, quasi assediato dal bosco di mezza montagna, seminascosto dalle fronde e magari sgretolato dall’incuria e dagli anni. E ti chiedi, ingenuamente, cosa ci stesse a fare, proprio lì, così isolato e lontano dalla vita degli uomini, un edificio sacro.

Ma, appunto, è una domanda ingenua, che non tiene conto di geografie umane ormai mutate e di quel reticolo viario minore, ma fitto e vitale, che, fino all’ultimo dopoguerra, collegava fra loro minuscole borgate, piccole frazioni, pugni di case oggi spesso abbandonate.

“ Va detto che una gran parte delle cappelle che oggi vediamo appartate, un tempo non lo erano, in quanto situate su percorsi colleganti le borgate. Erano le ecclesia de strata di cui si fa menzione frequente in documenti medievali…

Oltre che punti di riferimento geografico, i piloni, erano indicativi di una “via” in senso materiale ed in senso figurato.

Da prodotti di una religiosità privata o familiare, assumevano carattere pubblico allorchè diventavano per tutti , punti di forte valore semantico, con nome di individuazione, per manifestazioni religiose coinvolgenti la comunità: stazioni di riti penitenziali, di processioni rogatorie, di pellegrinaggi, punti di sosta…”

La correlazione tra piloni e strade, anche se di strade secondarie spesso si tratta, è di tutta evidenza.

Su quelle strade c’era chi quotidianamente transitava per le varie incombenze della vita: il lavoro dei campi, lo spostamento giornaliero delle mandrie dal prato alla stalla, la gerla di foglie da portare a casa, il grano da macinare al mulino, il pane da cuocere nel forno comune, i pochi acquisti da fare in paese, scambiando uova per sale,burro per caffè, tome per zucchero…

In quel micro mondo, in cui spesso si consumavano intere esistenze, raramente lo spostarsi seguiva ritmi frenetici ed incalzanti. I passi misurati, per intonare il fiato alla salita del sentiero o alla lunghezza della via,prevedevano naturalmente una o più soste sul cammino. E, con altrettanta naturalezza, quelle soste venivano segnate da un edificio religioso: una cappellina, un pilone, un oratorio arricchito di un breve porticato, con due panche di pietra ai lati, dove sedersi e riposare.

Certo, la funzione principale di quel segno sacro era quella di proteggere i viandante, ma l’importanza del fermarsi, del sostare in quel luogo non era meno forte o meno evidente.

“ Nella mappa del territorio, i piloni, costituivano immutabili punti topologici, porte piazzate allo scopo di esaltare il rapporto dell’uomo ( delle sue ansie, paure, incertezze ) con il trascendente… Si potrebbe addirittura vedere nell’edificio sacro un “non luogo” tra due luoghi, un elemento di connessione tra l’umano e il divino”.

Presso il pilone votivo l’uomo di ieri sostava, per ristorare corpo e spirito: uno scambio di battute con un viandante di passaggio, un momento di chiacchiera con il compaesano di ritorno dal pascolo ( o dal mulino, o dal forno), un paio di parole scambiate anche con il buon Dio, possibilmente fatte arrivare grazie all’intercessione di un santo amico. Poi si riprendeva il cammino, forse con passo più sicuro e cuore più leggero.

Tratto da: Percorsi del Sacro – Arte e devozione popolare in Valle di Susa di Barbara De Bernardi

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.

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