“La tradisioun et paa vardé le sindreus ma manteni viva ina fiama”.
“La tradizione non consiste nel conservare le ceneri ma nel mantenere viva una fiamma”.
Jean Jaurès

Vecchio e caro Giaglione eccoti ancora una volta nelle righe di uno scritto, ora sempre più spesso online, con le tue tradizioni, le usanze, il dialetto del tuo popolo e con tutto il colore degli abiti delle tue Savouiarde. La vita in montagna d’altra parte ha un suo ritmo, più lento, non deve perciò stupire se tracce di arcani culti o di antiche feste sono giunti sino a noi: si sono trasformati, adeguati e magari innestati sulla religione, ma resistendo nella loro essenza.
Non è possibile stabilire se ci sia un’origine, un’autorità o una qualche particolare influenza dell’universo femminile giaglionese nel determinare le loro funzioni “priorali”. Difficile: nella memoria storica comunitaria ad esse spettano le faccende domestiche, l’accudimento, la preparazione e la distribuzione del cibo all’interno del proprio nucleo famigliare. Quasi sicuramente però l’affermarsi di questa figura, con le funzioni odierne, è da collegarsi alla nascita delle Confraternite. I loro compiti, infatti, sono strettamente legati alla Chiesa: nei secoli passati dovevano essere donne di provata fede e moralità e, tranne le giovani, rigorosamente sposate, al massimo vedove.
Il rifiuto non era contemplato: portava male.
Ognuna poteva essere eletta al massimo tre volte nella propria vita, una in ogni coppia: le Priore sono sei. Dagli archivi parrocchiali, in cui la prima scrittura a loro riferita è del 1892, si apprende che fino al 1932 erano solo quattro. Fino ai primi decenni del 1900 con esse veniva citato un Procuratore o Priore del Santissimo Rosario e un Procuratore di Santa Caterina.
Oggi le cose sono molto cambiate e si può anche ricoprire lo stesso ruolo più volte. Erano e sono tenute alla partecipazione a Vespri e Processioni, quelle del Sacro Cuore ai funerali delle donne, mentre la coppia di San Vincenzo a tutte le esequie del paese e a farsi carico di una colletta annua, nel periodo natalizio, casa per casa fra le altre donne.
Altrettanto certo è che, da tempi immemorabili, sono elette dal Parroco durante la Messa per la Madonna del Rosario, la prima domenica di ottobre, giorno in cui termina il servizio di quelle uscenti. Non è mai stata sospesa anche nei momenti più duri e le Priore sono sempre state presenti ad assolvere i loro doveri, come nella prima e nella seconda guerra mondiale: le funzioni si sono magari svolte in tono minore o con l’assenza di alcuni protagonisti, mai di queste donne. Ad esempio a San Vincenzo del 1936 non erano presenti gli Spadonari e alcuni musicanti: i primi combattevano in Africa orientale e in genere durante tutto il conflitto furono ben pochi i suonatori rimasti in paese.
Lo stesso è avvenuto negli ultimi due anni di pandemia.
La loro nomina avviene nell’ambito delle nove frazioni che compongono l’abitato e la rotazione non è casuale: si va dalla borgata più bassa, in termini di altitudine, alle più alte.
Sono organizzate per coppie di età ed esaminando la composizione di queste non è del tutto improprio paragonare il loro ciclo a quello della natura e rivedervi residui di credenze precristiane. Le due giovani, di Santa Caterina o Caterinette, sono scelte fra le ragazze da marito: la primavera. Quelle del Sacro Cuore sono donne sposate, ormai madri e i figli sono i loro frutti: l’estate. La coppia di San Vincenzo e della Madonna del Rosario, la più importante, sono signore in piena maturità: nell’autunno della vita.
Ad ognuna spetta l’organizzazione di una festa con l’offerta di un rinfresco presso la propria casa a parenti e amici, Banda Musicale, Spadonari, Priore della Confraternita, cantori, autorità civili e religiose. In altri tempi questo voleva dire anche indebitarsi o vendersi il migliore vitello della stalla: a San Vincenzo, ad esempio, la Priora offriva un banchetto a Banda, Spadonari e autorità varie.
Un impegno non da poco per chi viveva di un’agricoltura di sussistenza.
Il giorno del loro debutto corrisponde con le festività congiunte di Santa Cecilia (22 novembre), patrona della musica, per cui anche della Banda giaglionese e di Santa Caterina (25 novembre), patrona delle giovinette. La ragazza più anziana della coppia delle Caterinette solennizza la ricorrenza: all’uscita dalla Messa richiami al ciclo della terra. Ceste di vimini sono colme di fiori: la giovane offre ai presenti mazzolini colorati preparati nei giorni precedenti da tutte e sei, saccheggiando giardini di parenti e amici, con crisantemi, lauro e rosmarino. Tutti se ne portano a casa uno, i musicanti, per buon auspicio, vi adornano i loro strumenti.
Con le Priore, scelta da esse, debutta anche la Portatrice del Bran: le accompagnerà in tutte le loro uscite. Spesso è una riconferma degli anni precedenti: la difficoltà del ruolo, che richiede numerosi allenamenti, fa si che una stessa donna possa ricoprire la mansione per più anni consecutivi. Lo stesso vale per i due accompagnatori: la sintonia di movimenti fra loro e la portatrice è di assoluta importanza.
La tradizione vuole che tutti e tre siano giovani non sposati: oggi la prima norma è rispettata senza alcun problema, sulla seconda si transige.
Il suo compito è quello di portare sulla testa il Bran: un’intelaiatura di legno e fili rigidi di ferro, dalla forma conica, con una base piatta di circa 90 centimetri di diametro e un’altezza di circa due metri. La struttura è ricoperta da lunghi nastri colorati, fiori, frutti, spighe di grano e non può mancare l’uva, simbolo importante dell’economia agricola giaglionese. Tutti gli elementi sono finti.
Alla base, alla radice di tutto, è posto un pane benedetto che simboleggia la tsarità: la carità intesa come fratellanza.
È aiutata da due ragazzi che, al momento opportuno, quando la Banda Musicale inizia a suonare glielo issano in testa: lei incede al passo della musica sostenendolo con la sola forza delle braccia e facendo affidamento sul suo forte senso di equilibrio. Appena gli strumenti si zittiscono glielo levano dal capo e lo trasportano a braccia.

La Priora più giovane della copia di Santa Caterina festeggia l’Ottava di San Vincenzo: la domenica successiva al 22 gennaio. La solennità del Corpus Domini è onorata dalla donna più “grande” dell’omonima coppia e l’ “Ottava”, la domenica seguente, dall’altra. La donna più matura della coppia di San Vincenzo e Madonna del Rosario si fa carico della festività patronale, San Vincenzo Martire, protettore dei vignaioli: rinfresco dopo Messa, prima e dopo i vespri pomeridiani. Solamente il ricevimento prima della celebrazione Eucaristica è offerto dalla sua compagna che poi solennizzerà i Vespri nel giorno della Madonna del Rosario.
Le Priore hanno un ruolo e una posizione ben definita all’interno del rito festivo.
Tutto ha inizio con un raduno informale dei musicanti, delle altre Priore e dei vari invitati, presso l’abitazione della festeggiata per consumare il rinfresco da lei offerto: si parlotta, si provano gli strumenti, si controlla una cuffia o un nastro, si fissa meglio uno spillone dello scialle.
Questo è l’unico momento privato dei festeggiamenti.
Ci si avvia poi in corteo verso la Chiesa: quando sono presenti, ossia a San Vincenzo, all’Ottava e alla Madonna del Rosario, aprono la sfilata gli Spadonari. Danzano in fila indiana precedendo il gonfalone della Banda Musicale e i musicanti, dietro la portatrice del Bran con i suoi due accompagnatori. Seguono le Priore: l’ordine dell’incedere segue una gerarchia sia fra le coppie che al loro interno. Apre la coppia della donna festeggiata e le altre due seguono in ordine di età. La più anziana di ogni coppia è sempre alla destra, tranne quando la festeggiata è la sua compagna, allora si invertono le posizioni. Lo stesso avviene nelle Processioni.
In prossimità del sagrato sono accolte dai chirichetti che porgono loro candele ornate da un bouquet floreale, fatto confezionare dalle stesse all’inizio del servizio annuale per loro e per il Priore della Confraternita. Entrano salutate dal Parroco. In chiesa siedono nei primi due banchi innanzi all’altare, parati a festa, della navata destra: davanti la coppia con la Priora festeggiata, dietro le altre.
La Portatrice del Bran si accomoda nel primo banco della navata sinistra, sempre scortata dai due accompagnatori.
Presiedono ad ogni festa indossando la Savouiarda, l’Abito Tradizionale. Così anche la Portatrice che vi aggiunge il palhaseut, una ciambella fatta di panno e tela, sistemata al disopra della cuffia nel momento in cui vi viene issato il Bran.
L’abito racconta una storia in cui i segni visibili e tangibili, o culturali e spirituali, non sono soltanto una documentazione temporale, passata o presente che sia, ma la testimonianza reale di una comunità. Era la caratteristica del villaggio alpino, come di quello di pianura e di quello di mare: ha scandito la vita, gli umori e i sentimenti delle nostre genti. Li ha accompagnati durante la quotidianità domestica e nel duro lavoro fra i campi, le vigne, i prati e gli alpeggi. Li ha nobilitati nei momenti di festa personali, matrimonio in primo luogo, ma anche comunitari: dal Natale alla Pasqua, passando per le feste patronali, dove si abbandonavano le rudi canape, le grezze lane e la sargia per impreziosirsi con velluti, sete e ricami, spesso pagati con il sudore degli uomini di casa, immigrati stagionalmente in Francia
Gli indumenti da lavoro hanno preso la via del cestino degli stracci e l’abito festivo è quello giunto a noi. Oggi la sua riproposta, a Giaglione come in molti paesi della Valle, è proprio lasciata in carico alle Priore.
Per l’anno di “priorato” ogni elemento è preparato e se necessario riparato, con cura.
Il vestito lungo fino ai piedi, in seta, o lana-seta, operato oppure liscio, prevalentemente nero, al massimo marrone, è composto da un corsetto molto sancrato cucito alla gonna. Le maniche sono di tipo gigot: strette fino al gomito e montate sulle spalle con numerose pieghe sostenute sul rovescio da un supporto di tela. Si concludono in stretti polsini chiusi da minuti bottoni. Una ricca e bassa passamaneria di velluto o di pizzo, nella stessa nuances o più vivace, perchè in perline colorate, orna questa abbottonatura e non sempre quella del corsetto. Dall’abbottonatura di questo e dal suo collo fuoriesce una striscia di pizzo bianco in cotone dentellato, lavorato ad uncinetto.
La gonna è piatta sul davanti: a circa 30 centimetri dal fondo è cucita, come ornamento, una balza piatta. La parte anteriore, sempre coperta dal grembiule, per cui non visibile era spesso confezionata con stoffe meno pregiate: un esempio di economia domestica delle nostre contadine, perchè sprecare stoffa per parti nascoste?
Nella parte posteriore un cuscinetto di forma allungata, cucito all’interno, all’altezza del girovita, le permette di svasarsi, da un fianco all’altro, in mille pieghe. Questo comporta nel camminare il tipico movimento ondeggiante e civettuolo della Savoiarda.
Il grembiule, di quattro-cinque centimetri più corto dell’abito, anch’esso quasi sempre scuro, copre quasi tutta la larghezza della gonna: da un fianco all’altro. È in seta liscia od operata: fiorita o marezzata ed è stretto in vita da un nastro in noirè di seta dello stesso colore, legato, pomposamente a fiocco con i lembi che ricadono all’altezza delle ginocchia.
Lo scialle è l’elemento principe dell’Abito Tradizionale: la nota di colore su cui si armonizzano le varie tonalità dei nastri e fiocco della cuffia. È in seta o lana-seta, damascato o liscio con ricami che venivano eseguiti dalle donne nelle lunghe veglie invernali con chiara derivazione dai tipi rusticheggianti settecenteschi: fiori e boccioli in abbondanza, semi di ramicelli. I punti più comuni usati erano: raso, indietro, erba, pieno, stelo, incrociato e passato. Potevano decorare due angoli opposti del quadrato ottenendo così un utilizzo double-face: altro esempio di economia domestica.
Le frange sono annodate a mano, il colore tende prevalentemente alle tonalità medio scure: marrone, verde medio-scuro, blu, bordeax cupo e nero per il lutto. In seguito alla Prima Guerra Mondiale i colori si incupiscono ulteriormente e si assiste alla predominanza dei marroni e bruni-mordorè. A volte venivano comprati già finiti a Lione o nelle filande della Savoia da mariti, fratelli o fidanzati migranti stagionali.
È un quadrato che misura di lato da 80 a 120 centimetri. Si indossa dopo essere stato piegato a triangolo: è posto sulle spalle con quattro-cinque pieghe, dipende dalla metratura e dalla taglia di chi lo indossa, ben visibili sulla schiena e due-tre sul corsetto, appuntate con spilloni a testa bianca. Spille che sul dorso si puntano, centralmente, nel numero di due, parallele orizzontalmente. Sul petto, una per lato, verticalmente.
Le punte dello scialle sono raccolte sul davanti, sotto la cintura del grembiule e rimboccate sullo stesso.
Lo scialle, così come il grembiule, più bello era d’obbligo per il matrimonio.

La cuffia detta savoiarda è un berretto di tela irrigidito con un trattamento in cera d’api, ricoperto di seta o di velluto, nero o marrone, unito od operato. Frequenti quelle colorate, un tempo, quando questo abito era il vestire della festa, usate dalle più giovani.
Sul davanti si cuce una raggiera in pizzo di cotone nero non festonato, pieghettato a cannoncini: “cannettato”. Il pizzo, lungo 150 centimetri e largo dai 12 ai 15, viene inamidato in una soluzione di gomma arabica, poi steso su un’asse rettangolare, dove sui suoi lati lunghi sono fissate delle strisce di cuoio che permettono il bloccaggio delle stecche di saggina che danno al pizzo, qui steso, una volta seccato la caratteristica pieghettatura.
I capelli un tempo, pettinati con scriminatura nel mezzo, erano sempre raccolti all’indietro, tutti all’interno.
È abbellita da un fiocco semipiatto, fissato in basso sulla nuca e da due nastri identici a questo, cuciti all’altezza delle orecchie, che si legano, ai lati del mento, in un complesso fiocco i cui lembi scendono sul petto. Questo è sempre legato sul lato destro per le Priore “più anziane” di ogni coppia, tranne quando la festeggiata è la compagna, allora si inverte l’annodatura.
Fino alla fine del 1800, durante le funzioni religiose, la cuffia doveva essere coperta da un velo nero, la cuefe: in seguito alle reiterate richieste delle donne per abolirlo, a cui l’allora parroco si opponeva tenacemente, il Vescovo alla fine ne concesse l’abbandono.
Fino alla fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX la cuffia calzata comunemente in paese era quella in uso in tutto il resto della valle: un berretto in tela bianca a cui era cucito, a guisa di aureola più o meno pronunciata, un pizzo inamidato. In quel periodo a Giaglione, Venaus, Novalesa e Ferrera Moncenisio questa viene lentamente, ma definitivamente, soppiantata dal modello Savoiardo in uso anche in tutta l’Haute-Maurienne: la folclorista Eugènie Goldester sostiene che questo modello sia stato importato in Francia dall’Italia e non viceversa: dovrebbe il suo nome a Casa Savoia.
L’intero insieme è impreziosito dalla Croce sospesa a un nastro di velluto nero, legato alla base della nuca, con i due lembi che pendono sulla schiena.
È per lo più è in argento dorato, più raramente in oro puro, talvolta in rame fortemente dorato. Spesso è dono di matrimonio o fidanzamento. I modelli più in uso sono la Bugnata o Croce a Pietra e la Jeanette, quest’ultima è la più antica e la più diffusa in tutte le vallate, anche Oltralpe.
Completano il tutto un paio di guanti neri, calze e scarpe nere.