Nel Cristianesimo delle origini le donne godettero di un’ampia libertà e rivestirono ruoli apicali nelle rispettive comunità. A partire dal IV secolo un gruppo di chierici, asceti, teologi e vescovi, alcuni dei quali assurti fino alla santità, forgiò un mondo ostile alle donne.
“ Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore” scriveva Paolo di Tarso (Efesini 5, 22). L’apostolo ( 4 – 67 d. C.), che portò la parola di Cristo tra i pagani greci e romani, esigeva dalle donne delle comunità cristiane un’obbedienza che avrebbe dovuto assumere i modi della riverenza: non più una regola domestica, dunque, ma il rispetto di una norma religiosa. Nei decenni successivi le parole dell’apostolo Paolo trovarono una ferrea applicazione nel pensiero di apologeti cristiani del calibro di Tertulliano (155-230), che in “L’eleganza delle donne” ordinava: “ Davanti ai vostri mariti abbassate la testa”. Gli fa eco il vescovo e teologo Gregorio Nazianzeno (329/330-390), secondo cui uno dei talenti femminili sta nel “ filare dritto”. Una delle esortazioni che rivolge alle donne, riferendosi ai loro mariti, è: “ Se talvolta eccede , non prendertela, lascia che vada contro le tue aspirazioni, come piace a lui” ( Discorso VIII).
Ma questo non era ancora il peggio che l’apologetica cristiana potesse produrre a proposito delle donne. E’ per mezzo di elaborate elucubrazioni mentali di chierici, asceti, monaci, vescovi e santi, tutti maschi, che ad un certo punto della storia umana si delineò quello che lo storico David F. Noble definisce un “ mondo senza donne”. “ Una società composta esclusivamente di uomini, forgiata nella fuga dalle donne, e impegnata a rifare il mondo in conformità alla propria immagine solo per metà umana”. Se durante i primi due secoli dell’era cristiana le donne avevano goduto di ampia libertà intellettuale, offrendo il loro contributo in seno alla famiglia e alla comunità, un atteggiamento di esclusione sistematica e generalizzata si fece largo a partire dal IV secolo d.C. con la diffusione di un monachesimo tutto maschile. La nuova “regola” per questi monaci-asceti era la conservazione del proprio corpo intatto: una sorta di tabernacolo che avrebbe dovuto prepararsi ad accogliere lo spirito santo. Ciò implicava l’astinenza sessuale e, preferibilmente, il celibato perpetuo. Di conseguenza la donna, considerata il principale “ intralcio” alla conservazione di tale condizione di purezza, venne non solo estromessa, ma divenne anche oggetto di ripulsa e aperta ostilità.
Dotate di grande esperienza e prestigio, le donne del cristianesimo delle origini svolgevano non solo funzioni di ascolto e consiglio, accoglienza, istruzione e profezia, ma addirittura mansioni parasacerdotali.
Contro di esse si mosse il vescovo Tertulliano: “ Come sono temerarie queste donne eretiche!| Non hanno alcun pudore; hanno l’audacia di insegnare, di impegnarsi in controversie, di effettuare esorcismi, di intraprendere cure e magari persino di battezzare !”
Se per i primi due secoli di vita cristiana il rispetto del celibato da parte dei maschi non precludeva la vita accanto alle donne, intorno al III secolo il mito del celibato s’impose in modo dirompente. Fu allora che una malcelata misoginia si impadronì degli scritti di apologeti come Tertulliano, passato alla storia come il “ campione ortodosso del celibato dei chierici”, e che non perdeva occasione di scagliarsi contro le donne, a suo avviso non idonee al sacerdozio per via del loro sesso. Tertulliano le considerava “ il varco del demonio”, in quanto pericolose e seducenti per natura.
Si imposero così nel Cristianesimo figure di veri e propri “santi”, ovviamente tutti maschi, per i quali una rigida disciplina sessuale imponeva non solo la distanza, ma anche un senso di profonda diffidenza nei confronti delle donne. Cipriano 8210-258),Atanasio (295-373), Pacomio ( 292-348), Giovanni Cassiano (360-435),Giovanni Crisostomo (344/354-407), furono fautori di un “nuovo movimento monastico intrinsecamente omosociale e contrassegnato dall’allontanamento delle donne e dal timore nei loro confronti. Le donne erano giunte a simboleggiare tutto ciò contro cui i monaci lottavano: la tentazione sessuale, la corruzione della società e l’eresia”.
Agostino d’Ippona s’impegnò con forza e autorità ad esaltare la verginità a scapito del matrimonio, spianando la strada all’imposizione del celibato dei chierici. All’interno della chiesa dei Padri le donne erano ben accette solo come “ spose” subordinate e marginali di Cristo. Le mogli dei chierici rappresentavano una potente minaccia alla purezza del clero.
“ Floria Emilia saluta Aurelio Agostino, Vescovo d’Ippona. E’ strano salutarti in questo modo. Molto, moltissimo tempo fa avrei scritto semplicemente “ al mio voluttuoso Aurelio”. Inizia così la lunga lettera d’amore di Floria Emilia ad Agostino d’Ippona, pubblicata nel 1998 dallo scrittore Jostein Gaarder sulla base del fantomatico ritrovamento di un “ Codex Florie”. Secondo l’autore del romanzo, intitolato Vita brevis, il testo acquistato da lui stesso a Buenos Aires, sarebbe la trascrizione della lettera originale scritta da “colei che per diversi anni visse accanto ad Agostino”. Ed in effetti il giovane Agostino si prese una concubina, con cui visse tredici anni e che gli diede un figlio: Adeodato, cioè “dato da Dio”. Ma la giovane fu “ scaricata” dal compagno ormai sulla via della conversione. La lettera “ritrovata” da Gaarder è un espediente narrativo per dare vigore ad una storia triste e vera, una delle tante vicende di donne del tempo “ sacrificate” sull’altare della castità, della continenza e di un “mondo senza donne”. Scrive Flora Emilia: “ Riesci ancora a ricordare come mi accarezzavi tutto il corpo e come, per così dire, stimolavi tutti i boccioli prima che si aprissero? Come ti piaceva cogliermi.. Poi te ne sei andato, vendendomi per la salvezza della tua anima”.
Tratto da: National Geographic Storica – Matteo Dalena, https://www.storicang.it/a/uomini-e-santi-che-odiavano-le-donne_15413