Le festività natalizie che si svolgono nel cuore dell’inverno sono ricche di stratificazioni di credenze e rituali, antichi come l’alba dell’uomo. Il passaggio del sole nel cielo solstiziale, che segna il giorno più corto dell’anno, era accolto un tempo con grande timore nella paura che il gelo e l’oscurità potessero sconfiggere la luce.
La maggior parte dei popoli antichi considerava il sole come un dio e credeva che avesse bisogno di aiuto durante il solstizio, il giorno più corto dell’anno.
Immaginavano che il sole lottasse contro le forze del male e dell’oscurità, riuscendo pian piano a sconfiggerle, però non davano la vittoria per scontata.
Nelle terre del Nord venivano celebrati i rituali per assicurare la rinascita del sole, era la Festa di Yule: il fuoco, il fratello del sole, era al centro di tutte le feste invernali, la gente si mascherava con teste di cavallo, corna di cervo, pelli di daino e danzava alla luce del fuoco.
Il solstizio d’inverno, coincide con il giorno con le più ridotte ore di luce, che da questo momento in poi inizieranno ad aumentare rispetto alle ore di buio in seguito all’inclinazione dell’asse terrestre e al movimento della Terra rispetto al sole durante le diverse stagioni. Quest’anno, il Solstizio d’inverno cade il 21 dicembre alle ore 16.59 italiane e sotto il profilo scientifico corrisponde all’inizio dell’inverno astronomico.
Ma l’importanza del solstizio si perde nei secoli e, come suggerisce il termine, è un evento legato al sole e alla luce.
Solstizio deriva dal latino “sol stat” , ovvero il sole si ferma, mentre nel solstizio d’estate si ha la durata massima delle ore di insolazione e la durata minima della notte.
Il Solstizio d’inverno nella tradizione popolare
Nella tradizione popolare il solstizio d’inverno segna l’inizio di una stagione che nasconde dentro di sé i semi di rinascita della primavera, preparandosi la natura al risveglio grazie all’aumento progressivo delle ore di luce.
Il solstizio d’inverno cade ogni anno tra il 21 e il 22 dicembre. Il sole nel solstizio tocca il punto più basso dell’orizzonte rispetto alla linea del parallelo locale, poi inizierà a risalire, aumentando giorno dopo giorno la sua potenza.
YULE

Di origine germanica ma diffusasi presto anche nelle Terre Celtiche, Yule era la festa del fuoco e della luce che si celebrava durante il Solstizio d’Inverno per aiutare il sole nella sua lotta contro le forze dell’oscurità. Tra norreni e germani la festa assumeva un carattere oscuro con animali sacrificati e tanto sangue versato, con Odino sul suo bianco destriero e il corteo di guerrieri fantasmi per esigere il sacrificio di vite umane in una caccia spettrale, ma era anche il periodo di canti e danze, di banchetti e di colossali bevute per “fare il giorno di notte” ossia per portare luce e calore nel cuore gelido dell’Inverno.
Presso i norreni si venerava Freyr (che significa semplicemente Signore, latinizzato in Fricco oppure anglicizzato in Frey), dio della bellezza e della fecondità equivalente per molti aspetti al Lug celtico. Nel mezzo dell’inverno gli si dedicava la grande festa di Frdblod, “il sacrificio di Freyr” in cui i guerrieri, riuniti nella grande casa del capo, uccidevano i loro cavalli e il sangue era spruzzato sul pavimento e sulle teste dei presenti.
IL SACRIFICIO DI SANGUE
Nell’Edda in prosa è descritto insieme alla sorella Freyia “Erano belli d’aspetto e potenti. Freyr è il più nobile fra gli Æsir; egli governa la pioggia e lo splendore del sole, e quindi i frutti della terra. È bene invocarlo per le messi e per la pace. Egli ha potere sulla prosperità degli uomini.”
In realtà il Mondo a cui appartenevano i due fratelli era quello dei Vanir, gli Æsirerano gli dèi del cielo e della potenza guerriera; mentre i Vanir erano legati alla terra, alla fecondità e al piacere, dopo la guerra tra le due stirpi Freyr e Freyia andarono come ostaggi presso gli Æsir.
Durante la grande festa di Frdblod, “il sacrificio di Freyr” una coppa di sangue veniva passata di mano in mano e solo dopo che tutti avevano bevuto iniziava il grande banchetto. L’usanza del sacrificio rimase nell’abitudine inglese di far sanguinare i cavalli nel giorno di Santo Stefano, santo che finì per assumere alcune caratteristiche di Freyr, e così lo vediamo raffigurato nella pittura svedese a cavallo, mentre porta una testa di cinghiale per il banchetto natalizio. Evidentemente si sacrificavano anche cinghiali in onore del dio della fertilità che peraltro aveva un cinghiale dalle setole dorate, dono dei nani, per trainare il suo carro (il prosciutto di Natale è il piatto super-tradizionale della Svezia).
In Irlanda per il giorno di Santo Stefano si svolgeva la caccia dello scricciolo, un rituale pan-celtico ancora praticato il 26 dicembre: secondo la tradizione celtica lo scricciolo era il simbolo di Lugh, Figlio della Luce trionfante e il suo sacrificio, un tributo in sangue agli spiriti della Terra nel Solstizio d’Inverno, era una supplica per ottenere favori e fortuna, ma anche un sacrificio solare (la luce che riprende vigore dopo il solstizio riceve energia dal sangue del suo simulacro). L’uccisione dello scricciolo e la distribuzione delle sue piume avrebbe portato salute e fortuna agli abitanti del villaggio.
E ancora il ricordo dei sacrifici e del sangue versato si rievoca nell’hoodening: una testa di cavallo (una testa di legno dipinta anche con vividi colori i ma anche un teschio) e un mantello condotta per le strade del villaggio da un “domatore” che la tiene per le briglie.
IL CEPPO DI YULE

Da quelle lunghe notti arriva la tradizione del ceppo di Natale, un grosso tronco (detto ceppo di Yule – in inglese Yule log) portato in casa il giorno di Natale che doveva bruciare lentamente per le 12 notti in cui durava la festa!
Il tronco era preparato alla vigilia della festa seguendo dei precisi cerimoniali (tagliandolo per lo più da una vecchia quercia), con canti e benedizioni, e decorato con nastri e sempreverdi (a volte bagnato con del sidro). Si portava in casa per sistemarlo nei grandi camini e si manteneva acceso fino all’Epifania: quel ceppo proteggeva la casa dagli incantesimi delle forze maligne; le ceneri erano sparse sopra i campi per renderli fertili. I resti del ceppo, venivano anche conservati per poter poi alimentare il fuoco che avrebbe arso il ceppo dell’anno seguente.
YULE
(di Fryda Rota)
Festa di fuoco e luce:
si ponga il ceppo nel focolare
(danzino intorno le fanciulle)
e nelle crepe del legno antico
pennacchi di edera tenaci.
Stategli attorno col vostro fiato
mentre si snodano dodici notti
-mai non dilegui la fiamma viva:
smuovete cenere che si posa
sopra la brace per soffocarla
e nella casa così protetta
maligni spiriti non entreranno.
Poi quella cenere sia versata
sopra i campi raschiati e secchi
a ridestare –quasi carezza-
la Madre Terra addormentata
Ai nostri giorni con camini e stufe troppo piccoli per il ceppo di Yule, chi volesse celebrare la festa secondo le vecchie tradizioni, potrebbe decorare un tronchetto con candele e sempreverdi (nastri, pigne e bacche) e trasformarlo in un bel centro tavola che illumini le cene delle festività natalizie. Continuando con la tradizione tra i dolci che richiamano lo yule log non può mancare il “Buche de Noel” ancora oggi il dolce tipico della tradizione natalizia francese.
In tutti i paesi bagnati dal Mediterraneo e governati da Roma, il fuoco bruciava sotto forma di candele durante le feste dei Saturnali. Si adornavano le case con agrifoglio, edera e vischio: per sostenere il sole morente dell’Inverno. Il sempreverde era la speranza della vittoria del Sole e del rinnovarsi della vita contro le forze del male e dell’oscurità.
SANTA LUCIA

Il 13 dicembre era indicato negli antichi calendari come il Solstizio d’Inverno e continua a segnare l’inizio del Natale in Svezia e in Norvegia, giorno in cui si festeggia Santa Lucia: messaggera di luce, annunzio della fine delle tenebre invernali.
Si diceva che la vigilia di quel giorno si potesse vedere Lucia volare sui campi ricoperti di neve con una corona di luce sopra i capelli: in suo onore, le figlie più grandi della famiglia si alzavano prima dell’alba, vestite di bianco e coronate con rami di biancospino o d’edera e delle candele accese.
Cantando portavano, aiutate dai bambini più piccoli, la colazione agli adulti della casa. Ancora oggi in alcune regioni d’Italia (ad esempio nel Bergamasco e nella Brianza) si dice che Santa Lucia passi nella notte tra il 12 e il 13 dicembre a cavallo del suo asino per portare regali ai bambini.
I SATURNALIA

I Saturnalia (o Saturnali) erano delle feste romane dedicate a Saturno, il dio che aveva governato durante la mitica età dell’oro (quando pace e giustizia regnavano sulla terra), durante le feste venivano invertiti i ruoli e gli schiavi diventavano padroni, veniva eletto tra gli schiavi un re delle cerimonie e ogni sera si banchettava camuffati con maschere e travestimenti.
Il 17 dicembre iniziavano nell’Impero romano i Saturnalia, una festa molto popolare in onore del dio Saturno. Anticamente la festa durava un solo giorno; Cesare la portò a 3, e in epoca imperiale fu estesa a 7 giorni. Una festa prettamente romana che in epoca imperiale si diffuse anche in tutta la penisola italiana.
Saturno era il dio romano della semina e del raccolto, re di un passato regno dell’Oro in cui vi furono sempre pace e abbondanza. Paul Bommer nel suo Calendario dell’Avvento del 2010 ha raffigurato Saturno su di un cocchio trainato da due serpenti alati, si tratta di un vecchio con in mano la falce che indossa la veste di porpora e il pileo. Il carro è decorato dalle costellazioni del Capricorno e dell’Acquario, che egli governa.
I Saturnali si proponevano di ristabilire, anche se solo per pochi giorni, la mitica Età dell’Oro, e tuttavia il mito si riveste di un attesa.
IL NATALE

La festa della Nascita di Gesù fu fissata dall’imperatore Costantino il 25 dicembre 330 d.C. poco dopo la sua conversione al Cristianesimo, a suggellare la festa per il Sol Invictus che si celebrava a Roma in epoca imperiale.
Il primo imperatore a dedicare la festa al natale del Dio Sole fu però Aureliano, che consacrò il tempio del Sol Invictus il 25 dicembre 274 d.C. in una festa chiamata Dies Natalis Solis Invicti, “Giorno di nascita del Sole Invitto”, facendo del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossando egli stesso una corona a raggi. La festa s’innestava, concludendola, sulla festa romana più antica, i Saturnali.
La festa del dio Sole era rivolta al dio supremo che crea e governa il mondo e in essa confluì anche il culto di Mitra figlio del Sole e Sole egli stesso.
La data del giorno di Natale fu in seguito fissata al 25 dicembre da Papa Giulio I proprio per ragioni legate al solstizio, come antica festa pagana del sole. Si trattava probabilmente di sostituire le tradizioni del passato con le celebrazioni cristiane. Così come nel mondo germanico il solstizio d’inverno corrisponde a Yule, nella tradizione druidica si parla di Alban Arthan, la festa della Luce di Re Artù.
Gli antichi Saturnalii affondavano le proprie radici in tradizioni religiose che si perdono nella notte dei tempi e che richiamavano la rinascita del sole e il ritorno della luce come fonte di energia e simbolo di potere.
Con il solstizio d’inverno si lasciano alle spalle l’oscurità e il caos dell’anno passato e ci si prepara ad accogliere un nuovo anno ricco di prosperità. Le feste pagane del solstizio d’inverno richiamavano soprattutto l’importanza della trasformazione e della rinascita. Tra i simboli antichi del solstizio troviamo il vischio, che richiama la vita e la rigenerazione.
In diverse zone d’Italia il solstizio d’inverno è un occasione di ritrovo, di socializzazione, di riflessione o meditazione per iniziare ad accogliere il nuovo anno.
Tratto da: Terre celtiche – Solstizio d’inverno