Santuario della Consolata di Torino (interno)

Quarta parte

Importanti e decisivi per la storia della Abbazia di Novalesa e per il Piemonte sono stati i rapporti tra la comunità monastica novaliciense e la Chiesa di Sant’Andrea di Torino, oggi Santuario della Consolata. Ripercorriamo questa storia prendendo spunto da un lungo e dettagliato contributo pubblicato su Beato Giuseppe Allamano e che per comodità suddividiamo in quattro puntate.

4. La decadenza

Queste e altre vertenze erano la dimostrazione delle difficoltà in cui ormai i monaci di S. Andrea si dibattevano nell’amministrare il loro patrimonio fondiario. Con l’istituzione della commenda queste difficoltà aumentarono e lentamente portarono alla decadenza della vita monastica, controllata soltanto da un rappresentante del priore titolare della commenda. Ciò avvenne soprattutto nei secoli XV e XVI con i priori commendatari dei conti di Valperga e dei Della Rovere di Vinovo. Nel secolo XVI il priorato era governato da un vicario claustrale, Michele Violeti di Chieri, deceduto nel 1524. Poco più tardi, nel 1553, moriva Francesco Soderini, abate della chiesa dei santi Froto e Moscheto44, priore di S. Andrea e chierico della Camera apostolica45. Negli anni 1579-1580 priore vicario di S. Andrea per l’abate commendatario cardinale Nicolò Gaetani dei principi di Sermoneta era il monaco Clemente Pochettino di Savigliano, processato per «menar vita licentiosissima et di grande scandalo». Colpevole o innocente, il Pochettino fu assolto per insufficienza di prove, ma dovette lasciare il monastero, dove era entrato ancora bambino.

Alcuni anni dopo, durante la visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi alla diocesi di Torino degli anni 1584-1585, la chiesa parrocchiale di S. Andrea risulta concessa in commenda a Camillo Gaetani, il quale aveva come vicario Francesco Pianto di Nocera Umbra con un annuo stipendio di 85 ducati d’oro. Il vicario non abitava in monastero, bensì in una casa vicina concessa in affitto. Nel monastero vivevano solo sei monaci benedettini e tre fratelli laici. Il reddito dei monaci consisteva in 36 sacchi di frumento, 13 e mezza carrate di vino, 108 scudi per il vitto e 32 scudi per il vestiario. Tutto ciò risultava insufficiente, se non fosse venuto in soccorso il cardinale Nicolò Gaetani.

Tuttavia, la vita dei monaci continuava a dibattersi nella povertà. L’edificio della chiesa fu trovato dal Peruzzi in buone condizioni, così pure la sacrestia, ma i paramenti non erano in buono stato di conservazione. La pulizia della chiesa lasciava a desiderare, l’altare maggiore era indecente e nelle stesse condizioni si trovavano i vasi sacri. Anche l’olio che ardeva davanti all’altare maggiore e all’altare della Consolazione era sempre piuttosto scarso. All’interno del monastero vi era solo un refettorio. Ciascun monaco aveva la sua camera e provvedeva per conto proprio al vestiario. Gli affari del priorato venivano trattati in capitolo, salva l’ubbidienza dovuta al vicario. I monaci professavano i tre voti solenni, ma non osservavano più la regola di san Benedetto, eccetto la recita dell’ufficio divino. Il Peruzzi visitò anche parecchi altari e cappelle, una delle quali, dedicata a S. Maria della Consolazione, aveva sopra l’altare «unam pulchram iconam». L’immagine era molto venerata, numerosi gli ex-voto di cera e di argento e grande il concorso dei fedeli alle funzioni sacre quotidiane46.

Questo squarcio di vita monastica, descritto negli Atti della visita apostolica del 1584 di mons. Peruzzi, lasciava certamente a desiderare. La disciplina monastica era piuttosto rilassata, non si viveva più la vita comunitaria e la regola benedettina, lo spirito mondano si manifestava nell’acquisto personale degli abiti, la comunità aveva difficoltà economiche non indifferenti, la vita parrocchiale e spirituale dei fedeli era lasciata nelle mani di un solo monaco; vi erano stati anche dei gravi abusi, come nel caso del monaco Pochettino. Gli ultimi sei monaci benedettini furono perciò sostituiti con i monaci riformati cistercensi detti fogliensi. Questo passaggio avvenne nel 1589. Così, dopo più di 660, a partire almeno dalla donazione nel 929 del marchese d’Ivrea Adalberto, i monaci di Novalesa-Breme, cessavano la loro presenza nel priorato e nella cura della chiesa di S. Andrea che, non più parrocchia dal 1589, si avviava a diventare il santuario mariano per eccellenza della città di Torino47.

Note:

44 Questi santi non compaiono negli elenchi ufficiali; doveva forse trattarsi di una denominazione di santi locali poco conosciuti. Cartario di Breme cit., pp. 47, 49, doc. 38: Necrologio di S. Andrea. [Torna al testo]

45 Cartario di Breme cit., pp. 47, 49, doc. 38: Necrologio di S. Andrea. [Torna al testo]

46 M. Grosso, M. F. Mellano, La controriforma nella arcidiocesi di Torino (1558-1610), II, Città del Vaticano 1957, pp. 74-81. [Torna al testo]

47 Franchetti, Storia della Consolata cit., pp. 198-200. Per le fonti bibliografiche cfr. A. Bo, La più cara, la più misteriosa. Santuario della Consolata, in Archivi di pietra. Nelle chiese di Torino gli uomini, la storia, le arti, Torino 1988, p. 24; La Consolata. Arti e mestieri. La civiltà della preghiera, a cura di A. Griseri e F. Peradotto, Allemandi, Torino 2005, pp. 117-120. [Torna al testo]

Link utili

Tratto da: Beato Giuseppe Allamano – La Chiesa di S. Andrea, ora Santuario della Consolata

Parte prima: La Chiesa di Sant’Andrea di Torino, oggi Santuario della Consolata (parte 1)

Parte seconda: La Chiesa di Sant’Andrea di Torino, oggi Santuario della Consolata (parte 2)

Parte terza: La Chiesa di Sant’Andrea di Torino, oggi Santuario della Consolata (parte 3)

Di Claudio Bollentini

Presidente di Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti - https://www.linkedin.com/in/claudiobollentini/

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