La storia della famiglia Provana signori di Leinì in Piemonte si intreccia per tanti anni con quella della Abbazia di Novalesa per via della commenda. Proprio in quel periodo novaliciense il Provana più illustre fu Andrea, la cui vita vale la pena di essere raccontata.
Il suddetto Andrea Provana signore di Leinì, figlio di Giacomo di Leinì, fu infatti una importante figura della corte del duca Carlo II di Savoia e di Filiberta de la Ravoire. Nacque intorno al 1520, forse nel castello di Leinì, nel Canavese.
Era presto divenuto paggio del principe Ludovico di Savoia, figlio del duca Carlo II e di Beatrice di Portogallo. Erede del Ducato, Ludovico fu inviato in Spagna per essere educato alla corte di Carlo V, ma qui morì, dodicenne, nel dicembre 1535. Il Leinì passò, allora, alla corte del nuovo erede, il principe Emanuele Filiberto, inizialmente destinato alla carriera ecclesiastica.
Il ritorno del Leinì in Piemonte coincise con l’invasione dello Stato sabaudo da parte delle truppe di Francesco I, nel 1536. Costretto a lasciare Torino, il duca si rifugiò a Vercelli, dove sarebbe rimasto sino alla morte, nel 1553. Inizialmente Emanuele Filiberto e la sua piccola corte presero anch’essi stanza a Vercelli, ma nel 1538 si trasferirono a Nizza dove restarono sino al 1543.
Risale a questi anni l’inizio della passione marinara di Emanuele Filiberto e del Leinì. Secondo A. Segre, il Leinì servì allora sulle galere spagnole, sotto il comando di Andrea Doria: si tratta di una ipotesi attendibile, ma della quale manca una prova certa. Nel periodo nizzardo si cementò, comunque, l’amicizia con il principe, di cui il Leinì sarebbe rimasto sino alla morte amico fidato e ascoltato consigliere.
Nel 1545 Carlo II decise di inviare il figlio Emanuele Filiberto in Germania e nelle Fiandre al seguito dell’imperatore Carlo V. Fra i nobili destinati ad accompagnarlo c’erano anche Giacomo Provana di Leinì e appunto Andrea, allora ventenne. Nel 1549 il Leinì si recò per un breve periodo in Inghilterra. Nel 1550 era di nuovo accanto a Emanuele Filiberto, che seguì nelle campagne contro i Francesi. Nel 1552 lo accompagnò nel viaggio che questi fece in Spagna insieme con Filippo d’Asburgo (il futuro Filippo II). Nel luglio del 1553 fu con Emanuele Filiberto alla presa di Hesdin.
Risale a quest’epoca uno degli episodi più celebrati della vita del Leinì. La città di Bapaume, nell’Artois, soggetta alla Corona spagnola, era allora assediata dalle truppe francesi. Emanuele Filiberto, volendo liberare la città dalla stretta di Enrico II, decise di concordare una comune linea d’azione con il governatore di Bapaume. A questo scopo egli aveva bisogno di un uomo che attraversasse le linee nemiche e si portasse nella città assediata. L’impresa era ardua, ma il Leinì si offrì volontario. Travestitosi da francese riuscì a ingannare gli assedianti e, attraversate le linee, a entrare in città. Secondo gli accordi presi con il duca e con il governatore, dopo che il primo ebbe attaccato le armate assedianti dall’esterno, il Leinì fece una sortita con le truppe assediate. Sorpreso dal duplice attacco, il re di Francia ordinò la ritirata, lasciando libera la città.
Quando nell’agosto del 1553 Carlo II morì, il Leinì era ormai uno dei più stretti e ascoltati consiglieri di Emanuele Filiberto. La stima del nuovo giovane duca di Savoia per il Leinì fu evidente nel 1554. Nel 1553 il duca non aveva fatto ritorno in Piemonte, perché aveva scelto di continuare a combattere nelle armate spagnole, avendo compreso che solo la forza delle armi gli avrebbe potuto restituire lo Stato. Egli affidò, allora, la guida del governo sabaudo al conte René de Challant e al signore di Châtellard. Nel novembre del 1553, però, un’incursione delle truppe francesi tentò di conquistare Vercelli, capitale provvisoria dello Stato sabaudo stante l’occupazione francese di Chambéry e di Torino. L’azione non ebbe successo, ma nei duri scontri alle mura della città il signore di Châtellard fu ucciso e René de Challant fatto prigioniero: il governo sabaudo era stato così decapitato. Emanuele Filiberto decise, allora, di inviare il Leinì a Vercelli. Tra la fine del 1553 e l’inizio del 1554, il Leinì visitò le terre rimaste sotto il controllo sabaudo, dalla Val d’Aosta a Nizza, da Cuneo a Vercelli, e si incontrò con il conte Amedeo Valperga di Masino, che Emanuele Filiberto aveva creato luogotenente generale del Ducato. Dal Canavese il Leinì si portò ad Aosta, dove riunì il Conseil des commis e incitò la nobiltà della Valle a difendersi contro un attacco francese, che la prigionia di Renato di Challant rendeva assai probabile. Al Leinì il duca affidò anche il compito di incontrare don Ferrante Gonzaga, governatore spagnolo della Lombardia, e convincerlo ad agire con maggior incisività per sostenere la causa sabauda. Il Gonzaga, in verità, era avverso al ritorno del duca in Piemonte e gli sforzi del Leinì non ebbero alcun risultato. Nel novembre del 1554 il Leinì assunse l’interim del governatorato di Nizza, che resse circa un anno, sino al settembre 1555. In tale data la carica di governatore della città fu assegnata all’anziano Charles Montbel, conte di Frossasco, il quale, dopo aver preso formalmente possesso della carica, lasciò la città riaffidando l’interim del governatorato al Leinì, il quale continuò a seguire i lavori al castello e alle fortificazioni.
Alla fine di gennaio del 1556, il Leinì tornò in Fiandra per incontrare il duca e concordare con lui il suo operato in Piemonte. Emanuele Filiberto, per rendere più sicura la contea di Nizza, incaricò il Leinì di fortificare il porto di Villafranca e lo nominò governatore di quella città. Di rientro a Nizza, fra agosto e settembre, il Leinì si fermò a Genova per fronteggiare i disegni della parte del patriziato della Repubblica ostile alla causa sabauda e per trattare nuovi prestiti con il Banco di S. Giorgio. Tornato infine a Nizza, mise subito mano ai lavori per le fortificazioni di Villafranca, resi ancora più necessari dalla ripresa delle ostilità, che portò le truppe francesi ad assediare Cuneo. La vittoria riportata da Emanuele Filiberto a San Quintino indusse il Leinì a portarsi nelle Fiandre dal dicembre del 1557 al febbraio del 1558. Nella primavera riprese i lavori per le fortificazioni di Villafranca, costati sino ad allora intorno ai 50.000 ducati: una somma ingente per le devastate finanze dello Stato, che mostra l’importanza di tale lavoro, tuttavia lontano dall’essere concluso quando, nel luglio del 1558, giunse sulle coste della Provenza una flotta turca, inviata quale soccorso alla Francia dal sultano Solimano II. Enrico II intendeva portare nuovamente la guerra sul fronte piemontese e conquistare il contado di Nizza. Il Leinì iniziò, allora, a organizzare Nizza e Villafranca per sostenere l’assedio franco-turco, che non si realizzò per i dissidi presto esplosi tra il comando francese e quello turco.
La situazione militare del Nizzardo, tuttavia, restava critica: i soldati non erano pagati da mesi, l’artiglieria era scarsa e tutto indicava che il pericolo scampato si sarebbe ripresentato. Fra il 1558 e il 1559 il Leinì lavorò soprattutto ai forti di Nizza e Montalbano. Nello stesso tempo poté dare il via all’apertura in Villafranca di un cantiere navale, nel quale ordinò subito la costruzione di due galere. Si trattava di un progetto da tempo discusso con il duca, ma che solo l’approssimarsi della pace rendeva finalmente attuabile.
Dopo il ritorno in Piemonte, il Leinì sposò Caterina Spinola, di un ramo della nobile famiglia genovese. Figlia del patrizio genovese Francesco Spinola di San Luca, signore di Garessio, e di Benedetta Del Carretto di Finale, Caterina Spinola aveva sposato nel 1548 Charles Montbel, conte di Frossasco e di Alpignano, ultimo esponente di un’antica famiglia savoiarda ricca di feudi in Piemonte. Dal matrimonio non erano nati figli e Montbel aveva lasciato erede la vedova: la sua decisione era motivata, fra l’altro, dalla volontà di evitare che i feudi finissero al ramo francese della famiglia (i Montbel d’Entremont), la cui ultima rappresentante, Giacolina, aveva sposato l’ammiraglio Gaspare di Coligny ed era esponente di spicco del partito ugonotto. Il matrimonio del Leinì era stato, quindi, se non caldeggiato, almeno appoggiato dal duca.
Nel novembre 1559 Emanuele Filiberto rientrò infine nei suoi Stati. Il Leinì ebbe l’ordine di andarlo a prendere con una galera a Marsiglia e di condurlo a Nizza, insieme con la duchessa Margherita di Valois, che Emanuele Filiberto aveva sposato a Parigi. All’inizio del 1560 il Leinì fu mandato a Parigi per una breve missione diplomatica presso Caterina de’ Medici. Rientrato a Nizza, il duca lo inviò a Genova per una nuova missione e il 1° genn. 1560 lo creò capitano generale delle galere sabaude; un anno e mezzo più tardi, nel giugno del 1561, concesse al Leinì ampi poteri sulla flotta. Da quel momento l’attività del Leinì fu rivolta soprattutto ad approntare una flotta che permettesse al Ducato di partecipare alla lotta antiturca, guidata dalla Spagna di Filippo II. Grazie all’attività del Leinì, alla fine del 1562 la flotta sabauda era costituita da dieci galere, di cui almeno tre sempre armate, che nel 1564 salirono a dodici. Negli anni successivi, tuttavia, le difficoltà finanziarie dello Stato spinsero il duca e il Leinì a venderne o ad affittarne alcune. Allo scoppio della guerra di Cipro, nel 1570, la flotta sabauda era composta da cinque galere. Nell’ottobre del 1560 il Leinì guidò – insieme con il suo secondo, Moretto, un “vecchio corsaro” che aveva operato a lungo nel Mediterraneo – le galere venete in Sicilia, dove avrebbero dovuto unirsi alla flotta spagnola nella guerra contro i Turchi. Filippo II, tuttavia, rimandò la campagna alla primavera e quindi il Leinì decise di portare le navi sabaude nel mar Ionio, dove queste tra novembre e dicembre predarono alcune navi venete che trasportavano merci turche. Ciò provocò la reazione di Venezia, che ordinò alla sua flotta di catturare i “corsari” Leinì e Moretto, lasciando però libere le galere sabaude, che riuscirono a rientrare in tempo al porto di Messina. Dopo lunghe trattative, Venezia rinunciò al risarcimento delle merci predate, mentre il duca si impegnò a non inviare più le sue galere nelle acque della Serenissima. L’incidente diplomatico ebbe probabilmente un ruolo nella decisione del duca di non inviare la flotta sabauda con quella spagnola nell’estate del 1561. Il Leinì restò, invece, a Nizza, dove il duca lo incaricò di continuare i lavori per rendere più sicuri i forti di Sant’Elmo e Montalbano, a Villafranca. Dal 1562 le galere sabaude navigarono con continuità, guidate ora dal Leinì ora da Moretto. Nel 1563 il Leinì si unì alla flotta spagnola nella spedizione per difendere Orano, assediata dai Turchi, e lo stesso anno difese brillantemente Villafranca dagli attacchi del pirata Ulug Alì (Occhiali). Nel 1564 partecipò alla nuova spedizione spagnola sulle coste africane, che portò alla conquista del forte di Pignon de Velez. Nel 1565 il Leinì guidò le tre galere sabaude “Capitana”, “Margherita” e “Moretta” a Malta, allora sotto assedio delle truppe turche di Solimano II, dando ottima prova di sé. L’operato a Malta conquistò al Leinì grande considerazione come ammiraglio, così che da allora fu chiamato, insieme con la flotta sabauda, a prendere parte a pressoché tutte le principali operazioni contro i Turchi.
Nello stesso tempo, il Leinì provvedeva ad ampliare i suoi possedimenti feudali. Nel 1561 ottenne dal duca alcune parti del feudo di Leinì, lasciate da Luca Provana, ultimo esponente di un’altra linea della casata. Nel 1567 Emanuele Filiberto gli confermò i privilegi concessi in precedenza al padre Giacomo e agli altri antenati e gli vendette, per 3000 lire di Piemonte, castello, villa e castellania di Balangero (confiscati due anni prima a Giorgio Biandrate di San Giorgio).
Nonostante l’impegno alla guida della flotta, il Leinì continuò a seguire da vicino le vicende politiche dello Stato e trascorse diversi periodi a corte, dove ricopriva la carica di ciambellano. Fu in tale veste che nel 1567 diresse le cerimonie per il battesimo del piccolo Carlo Emanuele di Savoia. Fra il 1567 e il 1570 fu impegnato, inoltre, a evitare che le guerre di religione che stavano sconvolgendo la Francia avessero ripercussione nel Nizzardo: prima represse la ribellione di Ottaviano Grimaldi di Ascros, uno dei più importanti feudatari della contea di Nizza che aveva abbracciato la fede calvinista, e poi scoprì ed evitò una congiura ugonotta (protetta, se non promossa, dalla contessa di Tenda), tesa a catturare le galere sabaude nel porto di Nizza e a usarle per conquistare i porti francesi di Tolone e Antibes. Nel 1568 Emanuele Filiberto gli conferì il collare dell’Ordine della Ss. Annunziata, massima onorificenza sabauda.
Alla ripresa delle ostilità contro l’Impero ottomano il Leinì tornò in mare e impegnò la piccola ma combattiva flotta sabauda in diversi scontri con i Turchi. Nel 1571 condusse le galere sabaude alla battaglia di Lepanto. Durante la battaglia, la flotta sabauda si comportò egregiamente e lo stesso Leinì fu ferito, anche se non gravemente.
Al rientro in patria il Leinì era forse l’uomo più influente della corte e del governo sabaudo. Nel 1570 Emanuele Filiberto scriveva di lui a Filippo II che era “persona sopra li cui occhi posso riposarmi”. Lo stesso anno l’ambasciatore veneto Francesco Morosini lo definiva “gentiluomo veramente molto da bene e molto intelligente” e proseguiva scrivendo che “quando è alla corte fa molta stima il signor duca del suo giudizio, conoscendolo di molto valore molto affezionato”. Nel 1572, dopo che la battaglia di Lepanto aveva ulteriormente accresciuto il prestigio del Leinì, l’ambasciatore spagnolo a Torino, Juan de Vargas y Mexía, scriveva a Filippo II che solo due persone a corte erano ammesse dal duca agli “affari segreti e confidenziali”: Negron de Negro e il Leinì, “uomo di giudizio che il duca ama” e “di fama migliore” rispetto a Negron (Archivo general de Simancas, Estado-Milán y Saboya, leg. 1229, n. 20).
Nel 1573 il duca nominò il Leinì grand’ammiraglio dell’allora istituito Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. In realtà, il Leinì non si occupò molto della nuova carica, e affidò al suo vice, il nizzardo Antonio Gallean, la guida delle spedizioni delle navi dell’Ordine. Da allora, in effetti, il Leinì divenne una sorta di primo ministro de facto, incaricato di seguire tutti i più delicati affari di Stato.
Nel 1574 il duca lo volle con sé nel viaggio compiuto in Provenza per accompagnare Enrico III, di ritorno in patria dalla Polonia. Informato, tuttavia, della grave malattia che aveva colpito la moglie Margherita, il duca tornò a Torino, lasciando al Leinì la guida della missione.
Il Leinì aveva il compito di ottenere la restituzione delle ultime città che Francesi e Spagnoli ancora occupavano in Piemonte. Nonostante le difficoltà, in ottobre riuscì nel suo intento. Fu lui poi, che tra il 1575 e il 1576 contrattò con i Doria la permuta di Oneglia con il centro canavesano di Cigliè. Prova della sua autorevolezza fu, infine, la decisione del duca di nominarlo, nel 1576, luogotenente generale del Piemonte (insieme con il gran cancelliere Ottaviano Cacherano d’Osasco e con Filippo di Savoia conte di Racconigi), in occasione di un suo viaggio all’estero. In quegli anni, inoltre, il Leinì fu tra i principali sostenitori della necessità di fare affluire ebrei in Piemonte e nella contea di Nizza per favorire lo sviluppo del commercio. Nel 1577 fu inviato dal duca in Savoia a reprimere una ribellione ugonotta fomentata da Ginevra.
Il credito del Leinì era destinato a restare inalterato sino alla morte del duca, nel 1580: qualche mese dopo l’ambasciatore veneto Francesco Barbaro commentava che il Leinì era stato certo “il più intimo personaggio” che il duca avesse avuto “presso di sé” e che “confidava in lui più che in qualunque altro” (in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, XI, Torino 1983, p. 352). Un rapporto decisamente più complesso il Leinì ebbe invece con il nuovo duca, Carlo Emanuele I, al quale Emanuele Filiberto, al momento della sua morte (30 ag. 1580), aveva raccomandato di ascoltare i consigli del Leinì e di confermargli le cariche di corte. Inizialmente il nuovo duca mantenne la promessa, ma in breve si fece insofferente verso l’anziano Leinì.
In effetti, Carlo Emanuele I era incerto se proseguire nella politica di alleanza con la Spagna o se avvicinarsi alla Francia. A corte si fronteggiavano due fazioni: quella filospagnola era guidata dal Leinì e quella filofrancese da Bernardino (II) di Savoia conte di Racconigi. Lo scontro esplose nel 1582, quando quest’ultimo convinse il duca a tentare la riconquista di Ginevra, mentre il Leinì disapprovò apertamente il tentativo. Proprio il fallimento dell’impresa, peraltro, portò Carlo Emanuele I a riavvicinarsi alla Spagna: nel 1583 il conte di Racconigi lasciò la corte.
Il Leinì, pur mantenendo le cariche legate alla flotta sabauda, viveva ormai a corte, e trascorreva periodi sempre più lunghi nella capitale, di cui nel 1583 ottenne la cittadinanza. Nel 1583, tuttavia, in seguito anche alla perdita della moglie, decise di tornare in mare e organizzò una spedizione contro i pirati algerini che solcavano i mari di fronte alla Provenza.
Il più importante risultato dell’azione del Leinì fu l’accordo per le nozze di Carlo Emanuele I con l’infanta Caterina, figlia prediletta di Filippo II: nel 1585 accompagnò il duca in Spagna per le nozze.
Nel 1588, quando il generale francese François de Bonne, il futuro duca di Lesdiguières invase il Marchesato di Saluzzo (di cui Emanuele Filiberto si era impadronito con un colpo di mano mai riconosciuto da Enrico III), il duca lo incaricò di guidare le truppe sabaude alla riconquista del Saluzzese. L’azione del Leinì fu rapida e incisiva e riuscì a riconquistare in pochi giorni Carmagnola e Saluzzo. Approfittando della difficile situazione francese dopo la morte di Enrico III e l’ascesa al trono di Enrico IV, il duca decise una spedizione in Provenza e ne affidò il comando al Leinì e al conte Francesco Martinengo Colleoni. Nel giugno del 1590, inoltre, gli affidò una difficile missione diplomatica a Madrid, per ottenere l’appoggio spagnolo all’annessione del Marchesato di Saluzzo.
Nonostante le declinanti condizioni di salute, nel 1591 il Leinì accompagnò nuovamente il duca in Spagna, ma non riuscì a convincere Filippo II ad accogliere le richieste del duca. Tali insuccessi allentarono nuovamente il suo rapporto con il duca e contribuirono all’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Lasciata Torino, si portò a Nizza dove morì, il 29 maggio 1592.
Secondo l’ambasciatore veneto Alvise Foscarini la malattia che lo aveva portato alla morte era stata “causata […] da malinconia, perché i suoi ricordi non habbino sortito quel fine che si persuadeva et per essere cascato grandemente dalla gratia di Sua Altezza et da quella riputatione in che si ritrovava per innanzi ritenuto da ciascheduno” (cit. in Segre, 1898, p. 7 n. 5).
Il Leinì fu sepolto a Villafranca, dove le sue spoglie restarono per oltre un secolo. Nel 1703 il suo pronipote Francesco (1650 circa – 1710) le fece trasferire a Frossasco, dove furono inumate in un sepolcreto nella cappella della famiglia. Il monumento allora edificato fu distrutto alla fine del Settecento dai giacobini e le spoglie disperse. Dal matrimonio con la Montbel il Leinì ebbe due figli: Carlo, morto nel 1610, e Filiberto. Il primogenito seguì le orme del papà, che dagli anni Ottanta aveva già organizzato il passaggio delle sue cariche principali. Carlo divenne così luogotenente generale delle galere sabaude nel 1588 e governatore di Villafranca nel 1591 e ottenne la pensione paterna concessa da Filippo II. Dal 1600 alla morte Carlo fu governatore del forte di Montalbano. Intorno al 1590 sposò Anna Della Rovere di Vinovo. Filiberto fu destinato, invece, alla carriera ecclesiastica, e nel 1587 divenne abate di S. Maria dell’Abbondanza.
Fonti e Bibl.:
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Fonte principale: www.treccani.it