Guglielmo, figlio del nobile svevo Roberto, conte di Volpiano in Piemonte, e di Perinzia, forse sorella di re Arduino d’Ivrea, nacque nell’estate del 962 a San Giulio di Orta, mentre il padre Roberto comandava la difesa dell’isola durante l’assedio posto dall’imperatore Ottone di Sassonia contro l’esercito di Berengario II, spodestato dal trono italico. L’imperatore stesso e sua moglie Adelaide fecero i suoi padrini al battesimo.

“Offerto” a sette anni al monastero di Lucedio presso Trino Vercellese, divenne poi studente delle scuole di Vercelli e di Pavia. Rientrato al monastero, vi fece la professione e ricevette la direzione del coro e della scuola monastica, diventandone il secretarius. In seguito ad un brevissimo ritiro in valle di Susa nel monastero di S. Michele sul monte Pirchiriano dove disegnò il monastero vecchio, conobbe Maiolo, abate di Cluny. Questi nel 985 riformò appunto l’abbazia di Lucedio – oggi S. Genuario di Lucedio – e Guglielmo entrato in disaccordo con il vescovo di Vercelli lo seguì nel suo viaggio a Cluny in Borgogna, dove verosimilmente si stabilì dal 985 al 989.

Dopo essersi rifugiato in quel importante monastero, grazie ai suoi legami familiari borgognoni salì ben presto tutti i gradini dell’ordine monastico benedettino. Divenne abate di Digione, di Saint Germain des Prés a Parigi e Fécamp in Normandia.

Priore di St-Saturnin-sur-Rhone per qualche tempo, a Digione fu incaricato della restaurazione spirituale e materiale dell’antica abbazia di S. Benigno che il vescovo di Langres, Bruno di Roucy, aveva affidato a Cluny. Guglielmo ottenne la benedizione abbaziale il 7 giugno 990. A Digione egli stabilì l’osservanza cluniacense, pur conservando alla sua abbazia una completa indipendenza nei confronti di Cluny. Si distinse infatti dallo spirito cluniacense soltanto per una eccessiva rigidità, che gli valse il soprannome di supra regulam. Geniale architetto e costruttore, progettò la ricostruzione della chiesa di S. Benigno in seguito al presunto rinvenimento del corpo del martire che vi era venerato e vi insediò una scuola che ebbe un veloce fiorire. Il potente vescovo di Langres gli affidò anche il mandato di riformare i monasteri di Bèze, Tonnerre, Molesme e Moutier-Saint-Jean.

In Italia, imparentato con re Arduino d’Ivrea, fondò su vasti terreni canavesani di proprietà familiare (1001-1003) il monastero di Fruttuaria presso Volpiano, che in breve si affermò come polo europeo di cultura e civiltà, dove lo stesso ultimo sovrano del Regno Italico venne accolto e assistito nel cenobio, prese l’abito del monaco come benedettino ed ivi morì nel 1015.

Il suo biografo, Rodolfo il Glabro, che fu monaco nell’abbazia di Digione, narra che Guglielmo riformò con originali consuetudines almeno una quarantina di abbazie: si tratta, oltre a quelle citate nella diocesi di Langres, di St-Vivant di Vergy (Autun), St-Arnoul di Metz, S. Apro di Toul, la Trinité di Fécamp, Jumièges, St-Ouen di Rouen, il Mont-Saint-Michel in Normandia (che in parte ricostruì anche), St-Faron di Meaux, Gorze, Saint-Germain-des-Prés di Parigi, S. Ambrogio di Milano, S. Apollinare di Ravenna, St-Mansuy di Toul e Moyenmoutier. A Guglielmo si deve anche la fondazione e costruzione di Bernay, ampliò l’influenza della sua abbazia di Digione con la fondazione di priorati nelle diocesi di Langres, Autun, Chalon-sur-Saone, di quella di Fruttuaria con la creazione in vita dei priorati di Cavalliaca, Paderno, Quaranta, Navigena e S. Perpetua di Asti.

Attraverso la Normandia la sua influenza di riformatore giunse oltre Manica, in Inghilterra. Invero, della sua vastissima produzione letteraria ci rimangono pochi scritti e un trattato “De vero bono et contemplatione divina”. Parrebbe siano andati perduti molti altri, tra cui quattro dei più importanti: il “Liber de reformatione et correctione cantus”, il “Psalterium pro idiotis”, “Sermones plares”, “De elemosinis decimalibus et quadragesimalibus”.

Oltre ad una riforma dello statuto dei conversi benedettini, in virtù della quale questi divengono di fatto dei familiari, non si deve tralasciare, nell’opera di Guglielmo, soprattutto l’osservanza più rigorosa nella preghiera, nel cibo e nelle vesti, la sua cura nella fondazione di scuole popolari. Queste ultime permettevano ai fedeli di imparare a leggere e cantare i salmi che, con l’andare del tempo, si stavano eccessivamente volgarizzando. Il suo zelo nel voler edificare chiese è altrettanto notorio e si deve a lui l’arrivo per primo in Borgogna dei maestri comaschi dell’Italia del nord.

Quando morì a Fécamp, il 1° gennaio 1031, Guglielmo aveva sotto la sua direzione oltre milleduecento monaci assegnati nelle diverse abbazie e priorati. Fu sepolto in quello stesso luogo, davanti all’altare di S. Taurino nel monastero della Trinità. Il suo culto è stato approvato nel 1808 per la diocesi di Ivrea.

Ritornando alle doti musicali di Guglielmo, uno studioso, il De Levis, cita appunto l’importantissima opera intitolata “Liber de reformatione et correctione cantus”, di cui abbiamo perduto ogni traccia. Durante gli anni della sua educazione, infatti, nasceva il moto di rinnovamento e di riforma della Chiesa, di cui uno dei centri irradiatori più fulgidi fu il monastero di Cluny. Di conseguenza la formazione personale subì l’influenza del nuovo pensiero che, anche in tema di canto liturgico si stava espandendo a macchia d’olio in tutta Europa. Il canto liturgico che i monaci benedettini portarono nell’Italia ad opera dello stesso Guglielmo da Volpiano, era allora conosciuto come il canto uticense, quel plain-chant che aveva sostituito il canto gregoriano (ormai corrotto e volgarizzato, non più adeguato alla tradizione). Il plain-chant, riportato alla sua purezza da questa figura di genio, si sparse in poco tempo da Fécamp agli altri monasteri normanni e in particolare all’abbazia di Saint-Evroul; di là l’abate Robert de Grandmesnil, che Orderico Vitale ci riporta come cantor egregius, lo trasferì nell’Italia e per molti lustri nelle abbazie i monaci salmodiarono il plainchant d’Ouche.

Rodolfo il Glabro, monaco benedettino, compose una Historia del periodo dal 987 al 1044, che è appunto tra le cronache principali per la conoscenza di quell’epoca.

Il celebre cronista, in un passo della “Vita”, così descrive l’abate Guglielmo: “Raffinato esperto nei principi della musica artistica, tutte le parti che, nel salmodiare, erano cantate dai cori dei monaci, di giorno e di notte, tanto riguardo alle antifone, quanto riguardo ai responsori e agli inni, le portò, correggendole e infondendo in esse il nettare della dolcezza divina, a una così alta perfezione che nessun’altra corale arrivava a cantare in modo più naturale ed elegante. In maniera peculiare abbellì con una dolce melodia il canto dei salmi, innalzandosi al di sopra di tutti gli altri”. E tra le scuole da lui fondate si ricordano soprattutto quelle per l’istruzione e la pratica nel canto dei salmi.

Su Guglielmo musico, nel 1935 sono stati scritti due articoli sulla “Revue du chant grégorie”: J.Handschin e L. David, con Un point d’histoire grégorienne, Guillaume de Fécamp, e A. Gastoué, con Sur le chant de St.Guillaume et les jongleurs à l’abbaye de Fécamp. Un altro contributo arriva dagli studi sulle prime riforme liturgiche attuate da Guglielmo: Le Roux, Guillaume de Volpiano: son cursus liturgique au Mont-St-Michel et dans les abbayes normandes, in Millenaire monastique du Mont-St-Michel, I, Paris 1967.

Proprio Fécamp, Mont-Saint-Michel e Jumièges, in occasione dei loro millenari celebrati in questi ultimi anni, hanno ripreso degnamente e presentato questo importante tema con seminari e studi.

Tra i ricercatori italiani l’interesse scientifico deve ancora svilupparsi. Sono presenti solo supposizioni un po’ retoriche che interpretano, come fa L. Mallè, modalitàmusicali in alcuni particolari architettonici (ad esempio nei fregi segnapiano del campanile di Fruttuaria), oppure nella terna do-re-mi implicita nei forni di fusione delle campane, che di norma come numero dovevano sempre essere tre. Esplicativo è stato l’apporto di studenti, anche provenienti da diversi atenei che, in occasione di visite a San Benigno hanno ipotizzato che la famosa scena della Visitatio sepulcri, recitata intorno alla Rotonda del Santo Sepolcro all’interno dell’Abbazia di Fruttuaria, fosse anche cantata dai monaci. E tutto ciò sarebbe da ascriversi ancora una volta al genio musicale di Guglielmo da Volpiano.

Immagine: Basilica di San Giulio, Orta: presunta immagine di Guglielmo da Volpiano su un ambone del XII secolo.

Bibliografia essenziale:

Rodolfo Glabro, Vita di Guglielmo. Jaca book

A.Lucioni, Guglielmo da Volpiano. Effatà editrice

P.G. De Bernardi, S. Benedetto. Un monaco per l’Europa. Guglielmo da Volpiano. Effatà editrice

Di Valter Fascio

Oblato benedettino

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