L’uomo che vendette il Messia per tenta denari non viene mai descritto all’interno dei testi canonici e nemmeno nei più tardi vangeli apocrifi: di lui ci viene raccontato solo un gesto, il gesto che lo ha reso il principe dei traditori, l’essere più abbietto a cui l’uomo medievale cristiano poteva pensare.
Un uomo dai capelli rossi.
Nel Medioevo infatti, il tradimento aveva in Occidente i suoi colori o, meglio, il suo colore, quello che si situa a metà strada tra il rosso e il giallo, un colore che noi dobbiamo assimilare al nostro arancione, sconosciuto all’uomo medievale, ma piuttosto al fulvo, il colore dei demoni e della volpe.
Un colore, inoltre con cui le tradizioni medievali avevano preso l’abitudine di distinguere un nutrito gruppo di traditori sia di origine bibliche che letterarie come Caino, Dalila, Saul.
Ma nei primi secoli dell’era cristiana Giuda non aveva ancora i capelli rossi: questi appaiono solo dalla seconda metà del IX secolo, dall’epoca di Carlo il Calvo, periodo a cui si fanno risalire le prime miniature in cui l’uomo di Cariot possiede una fluente capigliatura fulva.

Questa nuova iconografia nasce e si diffonde dapprima nei paesi del Reno e della Mosa e successivamente nel resto d’Europa. Oltre ad una chioma e spesso una barba ardente, Giuda possiede tutta una serie di attributi, alcuni di origine più antica, che gli consentono di essere immediatamente individuato nelle scene in cui è raffigurato come nelle innumerevoli rappresentazioni dell’Ultima Cena che riempiono manoscritti e pareti di edifici religiosi. Questi attributi, in epoca feudale, recuperano gran parte degli elementi dal bestiario di Satana popolato da bestie in antichità molto apprezzate come il cinghiale e l’orso, ma in quei secoli condannate dalla Chiesa. Di conseguenza Giuda può essere di piccola statura e villoso come i due animali appena citati, può avere le zanne e gli artigli come un leopardo o, ancora, delle labbra nere, segno del bacio del tradimento.
Ma i segni distintivi che ne determinano l’aspetto non si limitano alla raffigurazione del corpo. Anche i suoi abiti e la mimica sono fortemente stereotipate: la tunica gialla, la gestualità disordinata o furtiva non fanno altro che renderlo perfettamente riconoscibile .
Tutta questa serie di attributi è cambiata di secolo in secolo ma anche di mano in mano: ogni artista, infatti, è stato libero di scegliere . L’unica eccezione, però, è costituita dal colore della sua folta chioma che diviene canonico dal XIII secolo .
Nella Bibbia, ad esempio, se né Caino né Giuda hanno i capelli rossi, altri personaggi li hanno e, con una sola eccezione, per un motivo o per un altro sono personaggi negativi.

Il più famoso è Esaù, il fratello gemello di Giacobbe, di cui il testo della Genesi ci dice che era sin dalla nascita “ rosso tutto e peloso come un orso”. Rozzo e irruente, il figlio di Isacco non esita a vendere al fratello il suo diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie e, malgrado il pentimento, si ritrova escluso dalla benedizione paterna e messianica e costretto ad abbandonare la Terra Promessa.
Dopo di lui ci sono Saul, primo re d’Israele, Davide e Caifa mentre l’unica eccezione è costituita da Davide, che il libro di Samuele descrive come “ rosso, con occhi bellissimi, bello d’aspetto”. Nel suo caso, però, si tratta di una trasgressione di una scala di valori come se ne incontrano in tutti sistemi simbolici: affinchè il sistema funzioni efficacemente, infatti, è necessaria un’eccezione che ne confermi le regole.
Davide è questa eccezione e, in quanto tale, annuncia Gesù che, nell’iconografia cristiana a partire dal XII secolo, rappresenta talvolta il Figlio di Dio con i capelli rossi proprio come Giuda, in particolare nella scena dell’arresto e del bacio. Una scelta, questa, che sottolinea l’osmosi che, attraverso il bacio del tradimento, si opera tra la vittima e il carnefice e che possiamo ammirare in diversi affreschi come quello attribuito a Cimabue all’interno della Basilica Superiore di Assisi.

Questo non vuol dire che, come nell’antichità, l’uomo rosso non continui ad essere percepito come crudele, sanguinario, brutto e così via, ma che nel corso del tempo si tratta di giudicare gli uomini e le donne dai capelli rossi soprattutto come persone false, astute, mentitrici, sleali e rinnegate.
Il rosso è considerato negativamente in svariate culture: in tutte le società infatti, comprese quelle celtiche e scandinave, il rosso è innanzitutto quello che non è come gli altri, quello diverso, quello che appartiene ad una minoranza e che dunque disturba, inquieta e scandalizza.
Considerando tutto ciò, dunque, l’uomo che si è macchiato della colpa più grande all’interno del libro più letto nella storia dell’umanità non poteva non essere fulvo di chioma e di pelo, non poteva non essere reso riconoscibile da tutti quegli attributi che la Chiesa e le culture antiche giudicavano tanto negativi, quali la villosità e la gestualità nervosa.
Non poteva, in fin dei conti, non essere pure mancino.
Tratto da: M. Pastoureau, Medioevo simbolico.