Dal Diario della Casa Rosminiana:

Ottobre 1889. Dopo alcuni giorni venne l’ingegnere (Germano) assistente ai lavori di restauro, con suo fratello maggiore d’armata, per prendere le misure di un locale, nelle rovine, per un telegrafo ottico, e vi misero tosto mano per la costruzione.

8 Luglio 1890. Vennero due ufficiali con strumenti relativi per le osservazioni ottiche da farsi nelle rovine, nel casotto espressamente fabbricato.

13 Agosto 1896. Questa mane, fatto il loro pranzo prima del solito, si congedarono da noi i quattro militari venuti da noi il 27 p.p. a fare esercizi di telegrafia ottica con Torino e con Pampalù sopra Susa. Le due domeniche che sono stati qui, intervennero anch’essi alla messa e, nel partire, uno che non l’aveva, chiesa una corona da dire il rosario… Uno di costoro, il principale, sergente, disse di essere già destinato per l’Africa”.

L’edificio costruito dunque alla fine del 1800 tra le rovine del Monastero e definita dal Rosminiano Malladra “un orribile casotto”, metteva in comunicazione Torino con i Forti costruiti dall’Italia nel periodo della Triplice Alleanza. All’interno vi si trovavano: un locale centrale di disimpegno e due locali che ospitavano rispettivamente gli apparecchi orientati verso Torino e verso l’Alta Valle (sulle pareti si notano ancora mensole in marmo collegabili al funzionamento degli apparati). Fino a pochi anni fa, prima del rifacimento del pavimento, si vedevano ancora le basi in cemento dei treppiedi degli apparati diottrici.

Nella seconda metà del 1800 il neonato Regno d’Italia si trovava a fronteggiare potenze ostili come l’Austria (l’avversaria delle guerre risorgimentali) o che stavano diventando lentamente antagoniste come la Francia.

Gli attriti con la Francia presero il sopravvento tanto da spingere i Savoia a stringere con Germania, Austria e Ungheria la Triplice Alleanza 1882). Per quanto riguarda il Piemonte la posizione anti-francese del Regno d’Italia impose, sin dal 1874 col “Piano generale di difesa del Regno”, il riammodernamento dei vecchi forti settecenteschi (Exilles, Bard, Fenestrelle…) e la costruzione di un impressionante numero di forti e batterie in quota specialmente in Valsusa, considerata, fino al conflitto del 1940, zona particolarmente nevralgica dei nostri confini. Asserviti da una estesa e valida rete viaria si edificarono, a partire dagli anni ’70 del 1800 fino al primo decennio del 1900, i forti: Variselle, Cassa, Roncia, Pattacroce, Malamot, La Court, Paradiso al Moncenisio. Nella valle della Dora si ricordano le opere di appoggio a Exilles: Sapè, Fenils e, verso Bardonecchia i forti Pramand, Foens, Jafferau etc. Non si dimenticò la lezione dell’Assietta (1747) così la dorsale tra la valle della Dora e la valle del Chisone venne anch’essa accuratamente fortificata.

Per assicurare le comunicazioni con questa rete di fortificazioni (tra di loro e con il comando di Torino), ci si basò su sistemi di telegrafia ottica elaborati su esperienze già maturate durante le guerre d’Indipendenza.

L’allora capitano del Genio Gaetano Faini, fu incaricato di sviluppare concetti e tecnologie traendo spunto da materiale di preda bellica austriaca. Per inciso: la telegrafia così come la conosciamo, ovvero con la trasmissione via filo di segnali più brevi o più lunghi secondo l’alfabeto Morse, esisteva fin dal 1840 e già nel 1845 sotto la Manica veniva installato il primo cavo sottomarino. Le linee telegrafiche via filo erano però riservate a comunicazioni sulle lunghe distanze e tra centri importanti: per le comunicazioni tra unità militari e tra forti si scelse un sistema meno laborioso da installare e presidiare: l’uso di lampi di luce impiegati sempre secondo le modalità impostate da Samuel Morse.

All’interno o nelle vicinanze dei forti nonché nei vari luoghi lungo l’asse della valle dove l’orografia richiedeva una ripetizione del segnale, si edificarono delle piccole casupole o meglio “baraccotti” o “casotti” in cui poteva essere installata l’attrezzatura. Durante il giorno si sfruttava la luce del sole con un apparato definito “eliografo” dotato di 2 specchi, di un tasto che ne variava l’orientamento creando il “lampeggiamento” più vari congegni per un corretto puntamento. Di notte si usavano apparecchiature più complesse che, dopo prime esperienze con semplici lampade a petrolio, prevedevano l’uso di fiamme ad acetilene o addirittura ossiacetileniche. Da appositi contenitori contenenti carburo di calcio su cui si faceva gocciolare acqua si otteneva il gas acetilene che bruciando forniva una fiammella molto luminosa. Apposite lenti di diverso diametro (secondo le dimensioni e la portata dell’apparato) convogliavano la luce verso la stazione corrispondente. Il solito tasto in questo caso muoveva una banderuola che aveva la funzione di interrompere la luce dando origine al susseguirsi di “punti” e “linee”. Detti apparati si definivano Diottrici.

Alcune ricerche hanno permesso di individuare l’organizzazione della rete di comunicazioni e l’ubicazione di alcune stazioni del Telegrafo Ottico pur lasciando purtroppo scoperti alcuni punti.

La rete traeva origine da Torino per passare attraverso la Stazione della Sacra di San Michele e giungere al “baraccotto” dalla strana architettura situato presso la Batteria del Pampalù lungo le pendici del Rocciamelone.

Dall’importante stazione del Pampalù i segnali venivano diramati:

  • attraverso la stazione del Bosco Nero (poco più a monte)
  • al Forte Variselle e di lì a tutta la piazzaforte del Moncenisio,
  • agli edifici dell’ex Forte Santa Maria / Colombaia di Susa (Comando di Piazza)
  • alle stazioni poste sull’altro versante della valle: Mezzodì e del Gran Serin
  • al Forte di Exilles e quindi verso l’alta valle.

È interessante notare come la stazione della Batteria del Gran Serin fosse collegata con la retrostante Batteria della Gran Costa, la quale faceva da ponte con l’imponente Fortezza di Fenestrelle in Val Chisone.

Tratto da:

  • Castelli e fortezze della Val di Susa – E. e L. Patria
  • Le Fortezze delle Alpi Occidentali – D. Gariglio , M. Minola
  • La Montagna fortificata – Corino – Gastaldi
  • Lo scoppio del Pampalù – E. Patria
  • Segusium n. 21 – Dicembre 1985

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.

Lascia un commento