I libri hanno vissuto molte vite, ospitando e proteggendo le memorie e le testimonianze di chi li ha posseduti o anche solo letti.
“Mi chiamo Lavinia Fontana e sono una “pittora”. Chi l’ha detto che nel Cinquecento una donna non possa vivere della propria arte? Chiunque lo pensi non ha mai sentito la mia storia. Sono stata una ragazza fortunata, perché mio padre Prospero era un pittore e io sono cresciuta nella sua bottega, le mani sporche di colore, i capelli intrisi del profumo dell’olio.
Figlia d’arte, dicono. Fortunata, dicono. Ma non è solo con la fortuna che si arriva ad essere la prima donna nella storia dell’arte occidentale ad avere una commissione per una pala d’altare in una cattedrale; e poco ha a che vedere con il fatto di essere una figlia d’arte; sono brava, forse più di mio padre, e questo lui lo sa.
Mi ha sempre sostenuta, per me ha addirittura stipulato un contratto di matrimonio come non se ne erano mai visti: mio marito, il mio amato Paolo, era tenuto a gestire i miei guadagni di pittrice! Dopo un po’ ha addirittura lasciato la sua attività per diventare il mio agente. Tutto questo, nel 1577. Ho avuto 11 figli e sono riuscita a mantenerli tutti grazie alla mia professione, e questo mi rende ancora più orgogliosa. Figlia d’arte, dicono. Fortunata, dicono. Libera, dico io.
Sono una donna libera di continuare a lavorare dopo le nozze, libera di fare un lavoro tradizionalmente appannaggio degli uomini, libera di cimentarmi in tutti i generi della pittura, dall’arte sacra alle scene mitologiche, passando a testa alta per il nudo femminile e l’autoritratto. Ogni volta che mi dedico ad un autoritratto cerco sempre di trasporre in due dimensioni le mille sfaccettature della mia anima.
Non lo so come questo piccolo autoritratto sia finito nelle collezioni della Biblioteca Reale, i disegni fanno sempre giri strani, ma spero che guardandolo si colgano i miei colori, la mia soddisfazione, l’orgoglio di una donna che ha rincorso le sue passioni e su di esse ha costruito la sua vita. Quando al culmine della mia carriera mi sono trasferita a Roma, all’inizio del Seicento, ho conosciuto e ritratto tante nobildonne; molte di loro hanno singolari appellativi legati alla loro bellezza, al loro lignaggio, alle loro peculiarità fisiche o familiari, a me, invece, hanno attribuito il soprannome di “pontificia pittrice” e ne vado molto fiera. I miei quadri sono stati richiesti da papi, cardinali, nobili, persino re Filippo II di Spagna, eppure una delle soddisfazioni più grandi per me è fare ritratti di bambini.
Forse perché i bambini, come le donne dopotutto, spesso vengono dimenticati dalla storia, o forse perché il mio istinto materno mi spinge a vedere i miei figli in tutti i bimbi che ritraggo…. Non lo so, non so dare una spiegazione, e dopotutto non ha importanza.
Quello che conta è che mi chiamo Lavinia Fontana e sono una “pittora”. Figlia d’arte, dicono. Fortunata, dicono. Libera, dico io.”
Tratto da: Lavinia Fontana – Biblioteca Reale Torino