facciata esterna della chiesa abbaziale dell'abbazia di Acqualunga

Storia dell’abbazia di Acqualunga

Collocata nel piccolo borgo di Frascarolo, in quella zona di confine tra il Piemonte e la Lomellina, l’abbazia di Acqualunga è uno dei piccoli capolavori architettonici e di fede del Pavese medievale.

Le sue origini risalgono al 1180, quando Ascherio, abate del monastero cistercense di Santa Maria e San Giovanni di Rivalta Scrivia, impegnato nella bonifica delle paludi tra il fiume Sesia e il corso del Po, fece erigere una chiesa con annesso un piccolo monastero, che furono consacrati alla Vergine Maria con l’appellativo di “Aqua Longa” per ricordare i molti corsi d’acqua che si trovavano nelle vicinanze.

Dopo la morte del suo fondatore, nel dicembre 1185, l’abbazia passò nelle mani dell’abate di Rivalta Scrivia, che fino agli inizi del tredicesimo secolo fu il possessore della maggior parte dei beni del monastero. 

Nel 1204 s’insediarono nel complesso alcuni monaci cistercensi, che resero Acqualunga un ente abbaziale autonomo. L’abbazia è nominata negli Statuti dei Capitoli Generali del 1219 e 1225, dove si fa menzione delle condizioni disagiate in cui versava e che doveva essere abbandonata. I monaci cistercensi si opposero e negli anni con un paziente e continuo lavoro di bonifica, prosciugarono i terreni circostanti, con una sapiente opera d’ingegneria idraulica, che presto permise loro di ricavarne benefici agricoli.

Il 6 aprile 1227, l’abbazia ricevette un privilegio dall’imperatore Federico II, che poi fu confermato nel 1311 da Enrico VII. Lo storico Cornelius Flaminius, ricordando un abate che fu qui trasferito il 13 ottobre 1383, conferma che Acqualunga era sempre cistercense.

Dopo essere diventata una commenda agli inizi del Quattrocento, Galeazzo Petra (Senatore Ducale e Segretario del Cardinale Ascanio Sforza a Roma), commendatario di Acqualunga e primo vescovo di Vigevano, nel 1530 ottenne che il complesso passasse alla mensa vescovile della sua nuova diocesi, grazie ad una bolla di Papa Clemente VIII. Fu l’atto finale di Acqualunga e della sua indipendenza. L’ordine cistercense cessò così di esistere, anche se tre monaci rimasero comunque come custodi fino al 1798, anno della soppressione civile.

Attualità: cosa ne resta del vecchio monastero di Acqualunga?

Oggi del vecchio monastero, che venne demolito nell’Ottocento, non rimane nulla, tranne la chiesa abbaziale e la vecchia foresteria, sede dell’attuale canonica parrocchiale.

La pianta della chiesa è rettangolare con una divisione in tre navate scandita da imponenti pilastri a fascio, con archi a sesto acuto a sorreggere le volte a crociera archiacute, mentre le navate sono a due campate e vicino a quella centrale, ci sono il presbiterio e l’altare.

Sulla navata sinistra una cappella laterale con all’interno un altare e nella controfacciata si può vedere una nicchia che ospita il fonte battesimale.

La facciata della chiesa ha sulla navata destra un tetto trasversale alla facciata, che si lega all’edificio laterale del convento, mentre al centro è posto un portalino voltato e all’angolo dove s’incontrano la navata laterale e il presbiterio si trova il campanile quadrangolare.

Sulla testata esterna del coro si vede un grande rosone, ora murato, con a fianco due lesene piatte che non arrivano al tetto, come si usava nell’arte medievale lombarda, mentre sopra troviamo un fregio ad archetti che fu rifatto, contrariamente a quelli che si possono vedere sul fianco settentrionale della chiesa, dove finisce la navata laterale sinistra.

La stessa navata sinistra fu costruita probabilmente all’inizio del tredicesimo secolo, poiché presenta una serie di tradizionali contrafforti e un taglio a frontone tricuspidato che divide la navata in tre distinte zone da contrafforti per poi finire sotto il colmo, come in altre chiese della Lomellina, tra cui quella di San Pietro Martire di Vigevano.

Si conservano le strutture agricole del XVIII-XIX secolo. È possibile visitare la chiesa, previo appuntamento con la proprietà ecclesiastica.

L’abbazia di Acqualunga si trova nella riserva naturale omonina, una tra le più grandi zone protette pavesi. Presenta anche una peculiarità strutturale: vi sono tre nuclei di riserva naturale vera e propria distinti tra loro e una zona di rispetto, che in questo caso funge da area di collegamento più che da fascia “cuscinetto” nei confronti del territorio circostante.

L’interesse naturalistico è concentrato principalmente nel nucleo boscato a nord, completamente racchiuso dal reticolo irriguo formato dalla Roggia Poella, dal Rio Vecchio e dal Cavone di San Martino. Situato su alluvioni terrazzate sabbioso-ghiaiose dell’Olocene antico, il terreno si presenta fortemente impregnato d’acqua e ospita un bosco molto rigoglioso e fitto.

Nella parte meridionale, separata dalla precedente da un piccolo sentiero, è insediata una delle garzaie più interessanti della regione. Sono infatti presenti – caso unico in Lombardia – tutte e cinque le specie di aironi gregari che nidificano in Italia. È il nucleo di riserva situato a sud, a sinistra della strada proveniente dalla frazione dell’Abbazia di Acqualunga. La zona è spesso sorvolata da rapaci come la poiana e il falco di palude. Tra gli altri animali presenti: scoiattoli, puzzole, tassi, donnole e volpi.

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