Giganti caduti. Colossi spezzati. Frammenti di una grandiosità leggendaria ingiuriata dal tempo. Una testa monumentale dagli occhi bendati cade a terra. Un torso gigantesco perde le braccia. Resti di un volto enorme rivelano un’espressione serafica. Una figura alata incombe ieratica. Bassorilievi con scene eroiche di lotte apocalittiche, forse Troia, forse Sparta, forse l’isola di Atlantide, forse anche Babele, forse Sodoma e Gomorra. E nomi che evocano miti che sprofondano nel tempo, come Tindaro, Osiride, Icaro, Egeo, fino a Eros. Questi sono in gran parte i lavori di Igor Mitoraj.
Non emulo della completa perfezione fisica, ma maestro indiscusso del “frammento”, Mitoraj riesce a raggiungere il massimo effetto di monumentalità, facendo solo allusione a una passata perfezione di dimensioni imponenti. È questo il suo segreto. Tra le opere più note, la scultura Per Adriano, testa colossale tra le più straordinarie da lui realizzate, in bronzo e travertino, che rasenta i due metri e mezzo d’altezza, o Iron Shadows di due metri e dieci centimetri di ghisa, che evocano tanto da vicino quei frammenti di statue antiche giunti fino a noi dall’antichità più sofisticata come la gigantesca mano di Costantino al Campidoglio, nel cortile dei Musei Capitolini, o la stessa testa dell’imperatore cristiano alta quasi tre metri, e ancora i leggendari colossi dell’antichità. Le statue incomplete eppure compiute di Mitoraj giocano con le dimensioni generando immagini frastornanti e drammatiche.
Le opere di Mitoraj vivono della loro natura materiale, che ne decreta il carattere, il codice genetico, la personalità: la ghisa austera e inquieta, il bronzo versatile ed esuberante, la terracotta accondiscendente, il gesso ingenuo, la creta briosa, la cera triste e malinconica. E poi c’è il marmo misterioso, conturbante, indecifrabile, dai mille caratteri, il travertino, quello bianco di Carrara, quello rosa del Portogallo “molto carnoso” come spiega l’artista, il marmo pentelico “meraviglioso” con le sue venature verdi e la brillantezza cristallizzata, che l’artista prende direttamente ad Atene, il marmo nero del Belgio.
Appassionato del “sublime mondo classico”, come lo definisce lui stesso, formatosi a Parigi, Mitoraj però ha scoperto il gusto della scultura nella toscana Pietrasanta, vicino alle cave di marmo di Carrara, seguendo l’esempio di Michelangelo. E dal 1979 non l’ha più abbandonata, ne è diventato cittadino onorario. Come dice James Putnam, le statue di Mitoraj non hanno nulla a che fare con il primitivismo modernista ed etnografico di Moore e Brancusi e, al di là della prima impressione, non sono meri “pastiches” di originali classici, nè hanno alcun elemento che richiami il levigato neo-classicismo di Canova.
Parlando della sua arte, Mitoraj riconosce il debito nei confronti dell’antichità, ma con un’accezione:
“Ho cercato di cogliere un frammento di ciò che sembra essere la comunione mistica tra l’Egitto, la Grecia e il Lontano Oriente”.
Ecco, allora, che i tratti somatici delle sue statue rimandano a una fusione fra tradizioni culturali differenti, e opere come Blue Benares o White Benares mostrano una serenità simile all’enigmatico sorriso del Buddha. Quello che, inoltre, appare come uno dei temi più affascinanti e caratteristici della sua produzione è la figura fasciata, di cui ha creato numerose versioni, dalle statue interamente ricoperte di bende, ai volti simili a mummie come quelli dei bronzi colossali Eros bendato o della versione più frammentaria Eros bendato screpolato.
Tratto liberamente da testo critico di Laura Larcan, I Colossi di Mitoraj
Chi è stato Igor Mitoraj?
Scultore polacco (Oederan, Germania, 1944 – Parigi 2014). Nato in Germania ma vissuto a Cracovia, ha compiuto gli studi in questa città, dedicandosi inizialmente alla pittura e allestendo la prima personale nella Galleria Krzysztofory (1967).
Nel 1968 si è trasferito a Parigi, dove ha ultimato gli studi artistici presso l’École nationale des beaux-arts, quindi ha vissuto per un anno in Messico, aprendosi alle potenti suggestioni dell’arte mesoamericana, per poi tornare nella capitale francese e iniziare la sua produzione scultorea, che si è esercitata dapprima su bronzo e terracotta.
Dopo aver lavorato a New York e in Grecia, nel 1983 si è stabilito a Pietrasanta, luogo elettivo per la scultura in marmo, il materiale che nel tempo sarebbe diventato suo mezzo preferenziale di espressione. Influenzato dalle esperienze artistiche di Roy Lichtenstein e Andy Warhol e ispirandosi all’arte classica, Mitoraj ha saputo fondervi elementi moderni, disarticolandone e frammentandone la purezza per comporre una realtà contaminata e in disgregazione, popolata da personaggi tormentati e mutili, reliquie di un mondo perduto e della brutalità della storia.
A suggellare un binomio osmotico tra archeologia e contemporaneità dell’arte, le sue sculture in bronzo sono state temporaneamente collocate in aree archeologiche di eccezione, quali i Mercati di Traiano a Roma (2004), la Valle dei Templi di Agrigento (2011) e Pompei (2016), in suggestivi allestimenti che ne amplificano l’intensità.