Se non fosse stato per la scelta dei Luoghi del Cuore Fai, probabilmente non avrei mai visitato Bosco Marengo, eppure è vicino, a pochi chilometri da Alessandria.
Non è un monumento, non è solo un convento, non è solo una chiesa, è qualcosa di più, lì è davvero passata la storia.
Sorto per volontà di un Papa, Pio V, ha visto passare nelle sue grandi sale, seminaristi, soldati, giovani ribelli, artisti e politici di rilevanza mondiale.
Eppure questo sito così affascinante non fa parte dei circuiti turistici, non viene proposto come meta, ne è segnalato in maniera adeguata, non è previsto neanche un minimo di accoglienza per i visitatori, un punto di ristoro, un bookshop.
E ne varrebbe davvero la pena, questo posto ha tante cose da raccontare, i suoi muri, 120 centimetri di spessore, custodiscono racconti che vale la pena di ascoltare.
La visita è guidata, non sarebbe possibile diversamente, la vastità delle stanze e gli innumerevoli portoncini da aprire, le scale da salire e scendere confonderebbero anche il più esperto dei turisti. Il sito è visitabile in moltissime parti, la spiegazione chiara, accessibile a tutti, precisa e particolareggiata. Ogni stanza, ogni nuova porta che viene aperta scopre una vita diversa.
Santa Croce è stata il primo seminario dopo il Concilio di Trento, un riformatorio, un carcere minorile, un convento, e sta preparandosi a essere la sede di un master post laurea per restauratori di opere d’arte.
E tutte queste “vite” cosi diverse s’intrecciano e mi vengono incontro, mentre stupita, seguo la guida e il suo racconto.
Il suggestivo borgo di Bosco Marengo si trova in provincia di Alessandria, a pochi chilometri dal confine tra Lombardia e Piemonte, non molto distante da dove si svolse l’omonima battaglia vinta da Napoleone. Lì sorge il complesso monumentale di Santa Croce, capolavoro di arte e fede e non solo, ma che tuttavia rimane uno dei tesori più misconosciuti del Piemonte e del Nord Italia.
Bosco Marengo fu colonizzata per primi dalla stirpe ligure dei Marici, da cui deriva il nome di Marengo, per poi essere conquistato dai consoli romani Marco Claudio e Sulpicio Gallo. Grazie al console Marco Emilio Lepido nel 187 a.C. venne costruita una parte della via Emilia, che attraversava il territorio del comune passando a circa due chilometri dal paese e in quello stesso periodo è segnalato un primo agglomerato di case che aveva la funzione di fornire il cambio cavalli per i viaggiatori.
Divenne un borgo vero e proprio nel 498, grazie a Teodorico re degli Ostrogoti, che viveva nel castello di Marengo, e su un progetto di Manlio da Lugo.
Dopo essere passato sotto la dominazione longobarda, verso l’anno Mille, Ottone I imperatore di Germania rese Bosco un marchesato, che venne concesso ad Aleramo il Marchese di Monferrato, il cui discendente Ugone, che fu primo Marchese del Bosco, lo rese uno dei sette marchesati Aleramici. Si estendeva dall’attuale Alessandria fin quasi alle coste liguri, oltre a prendere parte nel 1168 alla fondazione di Alessandria, poiché Borgo Rovereto, cuore della città, era sotto la loro giurisdizione.
Il Marchesato del Bosco verso la metà del XIV secolo finì sotto il dominio del Ducato di Milano, prima dei Visconti e poi degli Sforza.
Il 18 ottobre 1447 a Bosco si svolse la battaglia del Tiglieto, che vide come protagonisti l’esercito francese e quello del ducato milanese comandato dal capitano di ventura Bartolomeo Colleoni, ma fu solo grazie all’intervento dei boschesi che i milanesi vinsero e oggi una lapide visibile sulle mura del castello Sforzesco a Milano ricorda il loro atto eroico.
Ma la sua posizione, poiché era sul confine tra il ducato di Milano e i possedimenti francesi, condusse Bosco al centro di vari assedi e saccheggi degli eserciti stranieri che devastarono l’Italia, tanto che gli abitanti attraversarono un periodo di carestia.
Nel 1528 l’imperatore Carlo V si recò in visita a Bosco e concesse generosi sussidi alla popolazione per ringraziarli del valore dimostrato, mentre nel 1535 il borgo divenne parte dei domini spagnoli in Italia.
La svolta arrivò nel 1566, quando il concittadino Antonio Michele Ghislieri divenne Papa col nome di Pio V fino ad ora unico pontefice piemontese.
Nato nel 1504 di origine modesta, a quattordici anni entrò nel convento domenicano di Voghera, dove prese il nome di fra Michele; studiò poi a Bologna e Genova e, nel 1528, fu ordinato sacerdote. Domenicano e teologo a Pavia, commissario dell’Inquisizione romana, vescovo di Sutri e Nepi, quindi cardinale (1557), grande inquisitore della Chiesa romana, contrario alla politica accomodante di Pio IV, fu eletto papa con l’appoggio del Cardinal Borromeo.
Il suo fu un breve pontificato, sei anni, ma ricco di eventi e passato stranamente nel dimenticatoio. Dedicò tutte le sue energie all’attuazione della riforma della Chiesa, all’applicazione dei decreti del concilio di Trento in tutti gli Stati.
Rigido verso sé stesso e gli altri, bandì il nepotismo, riformò la sua corte e il clero soprattutto quello romano, scontrandosi anche pesantemente, esigendo da tutti grande severità di costumi. Per la sua vigilanza molti preti furono allontanati e i vescovi costretti all’osservanza dell’obbligo della residenza.
Nel tentativo di favorire l’ascesa al trono inglese della cattolica Maria Stuart, scomunicò Elisabetta, con gravi conseguenze per i cattolici inglesi.
Nell’ultima parte del suo papato, fu l’acceso promotore della “Lega Sacra”, per contrastare l’avanzata ottomana nel Mediterraneo, che portò alla vittoria di Lepanto.
Nella sua natia Bosco Marengo si mosse nell’aiutare l’agricoltura riscattando i diritti dell’acqua per l’irrigazione e a erigere nel 1571 il monte frumentario, una banca del grano, stipendiò un medico e un maestro e lo stesso Filippo II di Spagna, grazie all’amicizia con il papa, dichiarò Bosco Terra Insigne e concesse speciali privilegi a favore della comunità boschese.
Il nome del Papa a Bosco oggi è legato al convento domenicano di Santa Croce, uno dei capolavori del Rinascimento piemontese, per cui lo stesso Pio V comprò terreni e case nel centro storico per avere la zona adatta a realizzare un sogno che aveva fin da quando era cardinale.
Il convento venne realizzato al di fuori delle mura del paese tra Bosco e Frugarolo, allo scopo di avere un centro che unisse i due paesi in un nuovo nucleo urbano.
La breve durata del papato di Pio V non permise al pontefice di vedere la fine dei lavori del convento che venne completato solo nell’ultimo decennio del Cinquecento.
Durante tutta l’esistenza del convento si susseguirono opere di ampliamento e abbellimento, oltre che di adattamento, ma ancora oggi rimangono molte delle strutture originali. Il complesso ha due chiostri, il primo vicino all’ingresso, il secondo, con al centro un tempietto e il pozzo per la raccolta delle acque piovane, vede un suggestivo loggiato al primo piano.
Al piano terreno ci sono un grande refettorio con suggestive decorazioni seicentesche, la sala capitolare e un locale che era destinato a essere la cucina, con ampie aperture nella volta per l’aerazione e l’illuminazione, mentre al primo piano si trova la biblioteca, che ha come modello quella del convento di San Marco a Firenze, con tre navate separate da file di eleganti colonne, che venne fornita dal Papa di numerosi e rari volumi per lo studio dei frati.
Sempre al primo piano, un ampio corridoio lungo cento metri attraversa l’ala ovest del convento, con una serie di suggestivi portali in pietra di Visone, che conducono alla sala capitolare, alla biblioteca e fingono anche da collegamento tra lo scalone principale e il refettorio.
La chiesa, dalla pianta a croce latina che vede la cupola collocata all’incrocio dei bracci, come nei modelli romani classicheggianti, vide anche il coinvolgimento del celebre artista toscano Giorgio Vasari, che nella sua autobiografia raccontò come il Papa gli avesse commissionato l’Adorazione dei Magi nella quarta cappella, ma soprattutto la grandissima macchina dell’altare maggiore, di cui oggi sopravvive nella chiesa solo il Giudizio Universale, mentre le dieci Storie di San Pietro Martire sono invece visibili presso il Museo Vasariano interno del complesso. Nella chiesa sono anche presenti il grandioso mausoleo di Pio V e un prezioso coro ligneo, entrambi cinquecenteschi.
All’interno del convento c’erano orti e persino una peschiera alimentata dalle acque della roggia in cui i frati allevavano pesci, mentre in una fornitissima spezieria preparavano farmaci di ogni genere.
Grazie a tutti questi benefici, nel Seicento, Bosco visse un breve periodo florido anche culturale, con il potente clero locale e i nobili della famiglia Bonelli, imparentata con Pio V, che aveva ricevuto il feudo di Bosco nel 1597 da Filippo II re di Spagna.
Nel 1630 il borgo venne decimato dalla peste, la stessa raccontata nei Promessi Sposi dal Manzoni, mentre nel Settecento fu al centro di guerre e saccheggi, che portarono gli abitanti in una situazione difficile, che cessò con il passaggio del feudo di Bosco dal governo spagnolo a quello del Re di Sardegna.
Durante la prima campagna d’Italia il 2 maggio 1796 arrivò Napoleone Bonaparte, che dormì per due giorni nelle stanze del convento di Santa Croce, mentre nel 1799 i dintorni del paese furono al centro di una battaglia tra gli eserciti francese e austro-russo, che portò a un nuovo saccheggio da parte delle truppe francesi il 24 ottobre 1799.
Come conseguenza della battaglia di Marengo del giugno 1800, Bosco fu parte dei territori dell’impero francese di Napoleone Bonaparte, tanto che le missive e gli atti amministrativi furono scritti in lingua francese e persino qualche amministratore firmò i documenti traducendo il suo nome.
Con la caduta di Napoleone, nel 1814 Bosco tornò sotto lo stato sabaudo.
Nel frattempo, dopo la soppressione degli ordini monastici su ordine del governo francese, il convento di Santa Croce divenne un ricovero per i veterani delle campagne napoleoniche, che però dovettero lasciarlo alla fine del regno napoleonico e nel 1823, nel convento, tornarono i frati domenicani.
Tra il 1841 e il 1845 visse e studiò nel convento di Santa Croce il padre domenicano Jean-Baptiste Lacordaire, famoso teologo che fu l’artefice della restaurazione dell’ordine domenicano in Francia dopo le soppressioni della Rivoluzione.
Alla fine il convento venne soppresso nel 1860, poi fu destinato per brevi periodi a deposito militare e ospedale oftalmico e nel 1862 divenne riformatorio giovanile e infine, fino al 1989, fu un carcere minorile. Di quest’ultimo uso restano alcune celle, effettivamente un po’ inquietanti e lugubri.
Un decreto reale del 12 febbraio 1863 aggiunse al nome di Bosco l’appellativo Marengo, che lo portò a essere il centro della zona che comprendeva Frugarolo e Fresonara, poi fino al 1896 fu sede di pretura. Intorno al 1900 era abitato da circa 5000 abitanti ma dopo lo spopolamento delle campagne, a seguito dell’industrializzazione, perse l’importanza che fino ad allora aveva avuto.
Nel luglio 2002, dopo un lungo periodo di abbandono, l’ex convento di Santa Croce fu scelto da Mikhail Gorbaciov come sede del World Political Forum da lui presieduto, Qui passarono numerosi personaggi di spicco del panorama politico e culturale mondiale, come Helmut Kohl, Wojciech Jaruzelski, Giulio Andreotti, Bono Vox, Francesco Cossiga, Jacques Delors, Ralf Dahrendorf e molti altri, per discutere tutte le soluzioni possibili per il mondo della globalizzazione e le cruciali problematiche internazionali. Ora quest’istituzione è stata sciolta, rimane in una grande sala un lunghissimo tavolo, le sedie, l’impianto di traduzione simultaneo, il tutto illuminato da originali lampadari dorati donati al tempo dall’associazione orafi di Valenza Po.
Attualmente nel convento sono in corso importanti interventi di restauro e ristrutturazione di alcuni locali, che diventeranno una scuola di restauro, per master post laurea di alto livello.
Tutto questo, per la bellezza del luogo, per la storia, per le opere che racchiude merita attenzione, visibilità, fruibilità.
Sono arrivata a Bosco Marengo da Tortona, non ho trovato un cartello che indicasse il complesso monumentale, neanche nelle vicinanze del medesimo.
Il collegamento con le autostrade a pochissimi chilometri lo renderebbe facilmente inseribile in tour sia italiani che stranieri, la vicinanza con Marengo, altro luogo storico, con Valenza, uno dei capoluoghi dell’arte orafa e vicinissimo alle colline dove si producono alcuni tra i vini migliori d’Italia, lo trasformerebbe in un polo d’attrazione per valorizzare tutta la zona creando lavoro e realizzando fondi per la manutenzione del complesso.
Sarebbe certo indispensabile pensare a un minimo di struttura d’accoglienza con un punto di ristoro,
il parcheggio esiste, ampio e ordinato, magari da aprire con orario continuato, l’interruzione dalle 12 alle 15 in un sito turistico è deleterio e scoraggia i visitatori.
Mi auguro che la cassa di risonanza che è stato il voto per i Luoghi del Cuore Fai non sia una meteora e apra davvero una nuova stagione per questo sito, che merita sicuramente di essere visitato.