Abbazia di Sant'Albino di Mortara. Vista dell'esterno

Tra via Francigena, Carlo Magno e chanson de geste

Nel cuore della Lomellina, appena fuori Mortara, troviamo l’abbazia di Sant’Albino, un gioiello del Medioevo pavese quasi nascosto, ma conservato con cura e amore dopo il recupero in occasione dell’anno giubilare 2000.

L’intero complesso versava in cattive condizioni di conservazione, venne restaurato e riaperto al culto, recuperando anche la primitiva vocazione di ospizio e foresteria.

Si raggiunge facilmente, sulla circonvallazione della città: un prato verde ben tenuto, alberi alti e una fila di rose rosa accolgono i visitatori.

Storia di un pellegrinaggio

La storia che l’abbazia di Sant’Albino ci racconta parte da molto lontano. Inizia nella seconda metà del IV secolo quando Gaudenzio, Vescovo di Novara, fece costruire alle porte di Mortara due cappelle, consacrate una a San Pietro e l’altra a Sant’Eusebio, di cui la seconda aveva anche la funzione di Chiesa parrocchiale di Mortara.

Le due cappelle erano a circa un chilometro e mezzo dalla cinta perimetrale della città ed erano una delle tappe del cammino dei pellegrini della via Francigena. L’itinerario storico che dal nord dell’Europa portava i pellegrini a Roma attraverso la via Emilia. Pellegrini che già prima dell’anno Mille scendevano la penisola. Venivano dalle isole britanniche, dalle Fiandre, dal Regno dei Franchi, dalle più lontane regioni dell’Impero. Passavano le Alpi al colle del Gran San Bernardo, dal Moncenisio o in alcuni casi anche dal Monginevro. Da Vercelli in poi gli itinerari si riunivano: passando per Robbio, Mortara e Pavia, attraversando la Lomellina, lasciando un segno tangibile della loro presenza.

La chiesa di Sant’Albino e l’annesso complesso abbaziale costituirono una tappa obbligata lungo il tragitto percorso dai pellegrini in viaggio verso la città eterna. Tra questi, gente comune, ma anche personaggi illustri quali Papi e imperatori, principi e generali. Nel 440 il futuro Papa Leone, nel 494 Sant’Epifanio, nel 522 Riccardo re di Kent, nel 574 Papa Stefano II, nel 575 Papa Paolo I. Nella primavera del 773 vi transitò anche l’ambasciata franca al completo, reduce dall’incontro con Papa Adriano I. Il percorso nel X secolo venne compiuto dall’Arcivescovo di Canterbury Sigerico, durante il suo ritorno da Roma, percorse 1800 km in settantanove giorni.

Pellegrini che nel tempo lasciarono documenti e iscrizioni ancor oggi visibili sui mattoni nella parete sud del presbiterio, con nomi ed epigrafi dell’XI e del XIV secolo. Il più antico è dell’anno 1100.

In questi quattrocento anni le due chiese furono molto frequentate, poi la Chiesa di San Pietro venne dimenticata da tutti, mentre Sant’Eusebio entrò nella storia dopo la battaglia del 12 ottobre 773, tra i Franchi di Carlo Magno e i Longobardi di Desiderio, combattimento che ebbe luogo proprio vicino alle due chiesette.

Una sepoltura divenuta leggenda, due eroi delle chansons de geste

Nello scontro morirono due paladini francesi, Amelio d’Alvernia, coppiere del re, e Amico Beyre, tesoriere reale, che lo stesso Carlo Magno fece seppellire nel luogo della battaglia, Amico in San Pietro e Amelio in Sant’Eusebio.

Ma la leggenda racconta che, il giorno dopo, le spoglie di Amico e di Amelio vennero ritrovate l’una accanto all’altra sotto l’altare della Chiesa di Sant’Eusebio. I due paladini sono citati in molte chansons de geste che ebbero la massima diffusione a partire dall’XI secolo.

Origine, declino e rinascita dell’abbazia di Sant’Albino

Dopo la battaglia, il monaco inglese Albin Alkwin consigliere di Carlo Magno fece erigere in quel luogo un monastero, vicino alla chiesa di Sant’Eusebio, cui l’imperatore aveva concesso larghe dotazioni terriere, mentre nella foresteria annessa alla chiesa vi si stabilirono alcuni monaci dell’ordine di padre Albino, diventato poi vescovo di Vercelli. Per omaggiare il maestro, gli allievi dedicarono il monastero a Sant’Albino di Angers, vescovo morto nel 550. Dalla dedica del monastero si passò dal titolo iniziale di Pieve di Sant’Eusebio a quello di Abbazia di Sant’Albino.

Il sedime dell’abbazia sorge su un terreno ricco di tombe, alcune delle quali sembrano di epoca pre-romana.

I monaci dell’abbazia seguivano le regole di Sant’Agostino, ma il convento, grazie alla protezione di Papa Adriano I, godette di grande indipendenza.

Nel 1113, Papa Innocente II diede il titolo di parrocchia all’abbazia, l’abate della chiesa assunse il titolo di prevosto, mentre i monaci diventarono il Capitolo dei Canonici regolari di Sant’Albino. Il complesso fu ricostruito nell’XI secolo e il campanile fu abbattuto negli scontri da milizie milanesi e abbiatensi nel 1253 e ricostruito nel XIII secolo. Nel 1263, per volere del papa Urbano IV, il preposto della chiesa fu chiamato a cooperare nella riforma del monastero di Breme. Il monastero andò in decadenza a partire dal 1290 e solo la prepositura sopravvisse per qualche tempo.

Quando, nel 1464, Papa Pio II pubblicò la bolla di scioglimento dell’organismo monastico di Sant’Albino, l’abbazia divenne una commenda e al commendatario furono date le prerogative che erano state di pertinenza dell’Abate.

Da allora la vita dell’abbazia iniziò la sua decadenza e nel 1530 ci furono le prime rinunce della Commenda di S. Albino con la diminuzione dei benefici ecclesiastici di cui godevano i suoi titolari. Nel 1540 la chiesa fu ricostruita per volere dell’abate Pietro Antonio Birago, che fece aggiungere il portico a colonne, i medaglioni dei Amico e Amelio, protagonisti dell’epopea carolingia e il suo stemma gentilizio, in una lapide visibile ancora oggi.

Nel 1578 fu visitata da San Carlo Borromeo, che ordinò la distruzione e l’abbattimento dell’altare della chiesa di San Pietro, ormai abbandonata da tempo.

Nel 1736 re Carlo Emanuele III mise Sant’Albino sotto la sua protezione, allo scopo di non danneggiare quel territorio e di lasciare libere le fontane che alimentavano le irrigazioni dei fondi dell’Abbazia.

La commenda venne soppressa tra il 1799 e il 1801 sotto Napoleone, mentre il convento annesso alla chiesa fu usato dai contadini locali e il patrimonio immobiliare fu frazionato e venduto a privati.

Per quasi tutto l’Ottocento gran parte della proprietà fu della famiglia Pavesi di Mortara, poi nel 1916 la Contessa Cavaglià Cossato ved. Pavesi lasciò l’Abbazia in eredità all’Ospedale di Mortara, che negli anni Settanta la vendette all’Ussl 78.

Nel 1993 l’Ussl 78 cedette a sua volta l’abbazia in comodato gratuito al Comune di Mortara, che ne divenne il proprietario il 26 novembre 1996. E dopo anni di abbandono e incuria una parte del complesso rivide nuova vita con i lavori per il giubileo del 2000.

Struttura architettonica

La struttura di Sant’Albino ha mantenuto le fondamenta, l’originaria costruzione romanica dell’abside, risalente al XII secolo, mentre gli adattamenti della facciata e della navata sono rinascimentali.

L’abside a semi-cerchio, in laterizio rosso, presenta le tipiche finestre-feritoie realizzate secondo lo stile dell’epoca, con aperture lunghe e strette che si allargano nello spessore della muratura, verso l’interno, e una strombatura che permette alla luce di espandersi nel vano secondo l’angolo formato dall’inclinazione delle due facce, tripartita da lesene ed è caratterizzata da archetti pensili sottogronda.

L’elegante campanile cuspidato che si eleva nel fianco sinistro, ricostruito dopo essere stato raso al suolo nel 1253 dalle milizie milanesi, ha una forma quadrangolare e culmina con la cella campanaria sormontata da una cuspide ottagonale.

Vicino alla chiesetta ci sono alcuni edifici facenti parte dell’antica abbazia. Nel cortile del cascinale annesso alla chiesa, un tempo era la zona ospitale per i pellegrini che transitavano lungo la via Francigena, troviamo una finestra monofora trecentesca decorata con formelle di cotto, con motivi agresti, pannocchie e grappoli d’uva.

Affreschi

L’interno, semplice ma elegante, a navata unica. Solo la zona presbiteriale è arricchita da affreschi datati 1410 e firmati da Giovanni da Milano che raffigurano, rispettivamente, Sant’Antonio Abate, riconoscibile dal maialino che lo accompagna, il Battesimo di Gesù e la Madonna in trono tra i Santi Albino, Agostino e Giacomo. Anonimo è invece, l’affresco sottostante con l’immagine di San Laurenzio con in mano il simbolo del suo martirio.

Il catino absidale è occupato interamente da un grande affresco raffigurante un’originale allegoria della Trinità, con il Padre seduto sulle nuvole con intorno i simboli dei quattro Evangelisti e ai piedi la colomba dello Spirito santo.

La parete esterna ovest del campanile, oggi interna alla sala capitolare, ha due affreschi ormai illeggibili a causa del dilavamento cui sono stati sottoposti per decenni, di cui quello inferiore rappresenta una crocifissione, con al centro il Cristo sulla croce e del superiore rimangono solo la figura di un grosso cane e una costruzione turrita.

Il pregevole paliotto dell’altare maggiore, che è stato restaurato nell’anno 2000 a cura del Lions Club Mortara-Silvabella, è del 1713,  reca lo stemma del commendatario dell’epoca, Mons. Giovan Battista Barni, ed è stato decorato con Sant’Albino e motivi a grottesche.

Sul lato destro della navata, in una nicchia protetta da una grata, si vede un’urna di legno nella quale sono contenute alcune ossa, che furono scoperte nel 1928 da monsignor Luigi Dughera nel corso di una ricognizione sotto l’altare dell’abbazia.

Gli esami effettuati nel 1999 dall’Istituto di Medicina legale dell’Università di Pavia, tra cui anche il test del Carbonio 14 condotto presso un laboratorio specializzato del Massachusetts, hanno stabilito che il tempo di giacenza minima delle ossa è di circa mille anni, in un’epoca molto vicina a quella della battaglia di Carlo Magno.

Nella nicchia, ai lati dell’urna, sono posti i due verbali di ricognizione e traslazione delle ossa, e un tempo c’era anche un Polittico di Paolo de Caylina, pittore bresciano, che nel 1458 ne dipinse per l’abbazia uno a cinque comparti, con la Vergine col Bambino seduta sopra un trono circondata da Angeli, i Santi Albino, con mitra e pastorale, Lorenzo, con l’emblematica graticola, e i Martiri Amico e Amelio armati di spada.

Oggi il dipinto dal 1840 fa parte delle collezioni della Pinacoteca Sabauda di Torino, ma una sua fotografia la si può vedere presso l’aula capitolare dell’abbazia.

Tutto questo è lì, a portata di mano, nella Lomellina, tra il riso, ormai un mare giallo oro, e le cipolle rosse e bionde, aspettando il “salame d’oca” di fine settembre!

Un pensiero su “L’abbazia di Sant’Albino di Mortara”
  1. Chiedo per intercessione del San Albino una preghiera per mia Rosalia di anni 66, affetta dai tumori maligni ossei che hanno preso i polmoni e non riescono a fare ossigeno, e tumore al seno dx avanzato e una cellulare tumorale nel cervello e con demenza senile sperando che non sia una forma maligna come diceva un esorcista Padre Vittorio.

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