Un luogo della Lomellina, oggi scomparso, nel cuore delle terre dei Longobardi, dei Visconti e dei Savoia.
Lomello posto al centro della Lomellina, alla quale ha dato il nome, è un borgo dotato di un patrimonio storico e artistico di grande importanza.
Fondazione e origine del nome
Fra i Liguri che fondarono il borgo intorno all’anno 1000, si trovano i “Laevi” che, stabilitisi qui attorno al V sec. a.C., ebbero rapporti con gli Etruschi, come dimostra un ritrovamento in Lomello costituito da tre vasi.
L’etimologia del nome sembra far riferimento alla popolazione dei Levi, la radice Mel o Millum potrebbe infatti riferirsi, con il suo significato di cinto o collare, a un’antica cerchia di mura che cingeva l’abitato.
In questo periodo Lomello diventa già un centro importante per gli scambi, in età imperiale fu una rilevante mansio, luogo di sosta, posto lungo una strada romana, gestita dal governo centrale e messa a disposizione di dignitari, ufficiali o di chi viaggiasse per ragioni di stato, aumentando di conseguenza il suo potere economico.
Eventi nel solco della storia longobarda
Nel 568 d.C. i Longobardi, con a capo Alboino, dopo aver occupato la pianura padana, fecero di Lomello una propria roccaforte e vi eressero la chiesa dedicata a San Michele.
Due avvenimenti importanti della storia longobarda hanno come sfondo Lomello. Qui la regina Teodolinda incontrò Agilulfo nel 590, che sposò nella Basilica di Santa Maria. L’altro avvenimento riguarda la prigionia della figlia, la regina Gundiperga, in una torre della fortezza di Lomello. Gundiperga aveva sposato Arioaldo duca di Torino che divenne re dei Longobardi e, alla morte di questi (636), convolò a nuove nozze con Rotari, duca di Brescia.
Splendore e declino
Caduti i Longobardi e instaurato l’impero di Carlo Magno, Lomello mantenne comunque prerogative importanti tanto da essere considerata una piccola capitale. Con la dinastia dei Palatini, conobbe un periodo di vero splendore, con la costruzione delle chiese di S. Siro, S. Martino, Santi Cosma e Damiano, S. Bartolomeo, Santo Stefano.
Nel 1155 la rocca di Lomello venne incendiata dal Barbarossa, ma riuscì a riprendersi. I monaci benedettini della vicina abbazia di Breme qui posero un priorato, fiorirono nel tempo monasteri come quello di S. Agata, S. Lorenzo, S. Maria in Galilea: sorse inoltre l’ospizio dei pellegrini di Santa Maria Maddalena e l’ospedale di Santa Maria della Misericordia.
Nel 1315 i Visconti s’impadronirono di Lomello, trasformandolo in un presidio militare, a difesa della sponda lombarda del Po, determinando il degrado come centro di vita civile e religiosa, portando così a un lento declino.
Monastero di Santa Maria in Galilea
Situato presso la chiesa di San Michele, il Monastero di Santa Maria in Galilea delle Suore Benedettine della Congregazione Vallombrosana a Lomello è nominato per la prima volta ufficialmente in una pergamena il 19 novembre 1375. Pergamena conservata attualmente all’Archivio di Stato di Milano, nella quale sulla fede giurata di quattro fra i più vecchi abitanti di Lomello, si notifica il possesso di varie terre, edifici e giurisdizioni che quel monastero aveva da lungo tempo. Al momento della pergamena il monastero aveva quindi un’esistenza più che secolare, risalente forse al XII secolo. Le terre adiacenti al monastero consistevano in un orto, il giardino, la peschiera e una vigna.
Alla pergamena si aggiunge un altro documento datato 20 luglio 1392 in favore del monastero, il testamento di Antonio Bottigella, canonico di Santa Maria in Pertica di Pavia.
Una disgrazia inaspettata
Nel 1463 avvenne nel convento un fatto che sconvolse la vita locale, dentro la pescheria fu rinvenuto il cadavere della madre badessa. Si parlò di disgrazia, ma anche di delitto o di suicidio e un certo frate Nigro fu fatto arrestare dal Podestà di Lomello, che scrisse al duca di Milano, Francesco Sforza. Questi, a sua volta, informò il Vescovo Corrado di Terracina, vicario del Cardinale Piccolomini di Pavia, invocando l’intervento dell’autorità ecclesiastica, affinché disponesse, sotto buona scorta, il trasferimento dalle carceri di Lomello del frate Nigro e provvedesse a fare giustizia.
Il Duca, in un post scriptum alla lettera, raccomandava che la nuova badessa fosse la nobildonna Elena di Sannazzaro.
Il fatto luttuoso, venne all’attenzione anche del generale dell’ordine vallombrosano che intervenne per arginare e porre fine alla dissoluzione morale e religiosa del convento. Manifestando anche l’intenzione di sopprimere il convento delle suore e sostituirlo con una comunità di religiosi con titolo di priorato.
Struttura
La chiesa del monastero era antichissima, lunga 30 metri larga 8, in stile romanico, probabilmente edificata su una preesistente, rifatta nel 1417 dall’abate Eliseo Confalonieri, con una struttura dal modello rinascimentale, ben decorata e con tre altari.
A fianco si trovava un oratorio, appartenente sempre al monastero denominato “S. Maria in Predio” che, a causa del suo stato pericolante, venne distrutto nel 1576.
Comunità in balia di litigi
Nel 1600 le monache presenti erano 64, di cui 52 velate e 12 converse; nel 1700 le velate si erano ridotte a 10 e le converse a 5. Le guerre e le liti rovinarono il convento che godeva comunque di donazioni e lasciti.
Tra le liti nelle quali il monastero si trovò immischiato durante la sua lunga esistenza, spicca quella nel XV secolo, sorta tra la badessa del complesso e il nobile Galeazzo di Grumello per il possesso di Buxiana, una piccola località nelle vicinanze di Lomello, occupata dal Grumello.
Nel corso delle liti per il monastero, le monache furono costrette, a più riprese, a fuggire e a rifugiarsi a Pavia.
Altri beni, nel Pavese e non solo, vennero acquistati nei secoli dal monastero tra i quali quelli avuti in eredità dal Prevosto della Collegiata di Santa Maria Maggiore, Giovanni Battista Grandi.
Il 24 aprile 1730 ci fu il cambio di un podere con la Confraternita del Santo Rosario di Galliavola e il 21 marzo 1754 fu acquistato un terreno finanziato da suor Maria Leardi, la quale otteneva, grazie alla rendita annua del podere, il permesso di introdurre in convento l’usanza di tenere accesa, di notte, la lampada nel dormitorio.
Le notizie prese dagli Archivi di Stato di Milano, Torino e Pavia dimostrano che il convento possedeva beni anche a Mede, Ottobiano, Pavia, Semiana, Breme, Galliavola e in altri Comuni limitrofi.
Soppressione napoleonica e declino
Il 6 luglio 1805 il monastero fu unito a quello di Sant’Agata di Lomello, con lo scopo di salvarlo dalla soppressione, che era stata decretata dalle leggi napoleoniche. Il monastero venne comunque soppresso nel 1810 e chiuso il 3 giugno dello stesso anno.
La soppressione pose fine a una vita millenaria, nella quale si alternarono, come per il monastero di Sant’Agata, gesta eroiche, grandezze, lotte spesso intestine, delusioni e dove molti poveri trovarono sempre accoglienza venendo sfamati. Negli anni a seguire il fabbricato e la chiesa andarono incontro a un inesorabile declino. La chiesa ormai cadente fu ridotta a caseificio e poi a magazzino, alternandone nei secoli la struttura originale, di cui si sono praticamente perse le tracce.
