copia della Madonna dei Pellegrini

La copia della “Madonna dei Pellegrini” di Michelangelo Merisi da Caravaggio è di straordinaria fattura ed eseguita certamente da un pittore di notevoli capacità. L’originale di Caravaggio, dipinto nel 1604, è ancora oggi conservato nella chiesa di Sant’Agostino a Roma, chiesa retta dagli Agostiniani.

Questo particolare si rivela come un indizio di notevole probabilità per far risalire la donazione a quando la Chiesa della Madonna dei Laghi era gestita da religiosi dello stesso ordine. Dunque, prima del 16 luglio 1622; data dell’ultima officiatura da parte di questi religiosi.

Un incrocio di sguardi pieno di profonda umanità e devozione tesse la trama di un silenzioso dialogo sul quale “fu fatto dai preti e da’ popolani estremo schiamazzo”. Che prorompente risuonò sotto il cielo di una Roma riscaldata da una devastante febbre manierista.

Fu proprio lì che il coraggio di un artista varcò i confini di verità fin troppo assolute e soggettive: “richiamando la pittura dalla maniera alla verità”. Per abbandonare la bellezza ideale, “disposto di seguire del tutto la similitudine”. E quella similitudine che l’occhio indaga sulla grande tela. Come a voler cercare nel buio e nelle tenebre l’umana conversazione che si compie in una dimensione umile e quotidiana.

E se per San Giovanni “Cristo è luce vera che illumina ogni uomo” essa diviene simbolo dunque di grazia divina, che scendendo sugli uomini offre l’umana salvezza.

Segno simbolico, linguistico e percettivo, il raggio di luce guida lo sguardo di chi osserva quell’intimo incontro in cui due umili pellegrini diventano simboli di un’intera umanità.

Inginocchiati in segno di preghiera, sui loro volti si leggono i segni del tempo e della fatica. Che sembra aver scavato i loro lineamenti plebei, rovinato le loro vesti e sporcato la loro pelle.

Con la loro vecchiaia, la loro sporcizia e la loro miseria essi rivolgono alla Madonna la loro stessa vita. Così umile e semplice, con i loro cuori pronti a ricevere tutto l’amore ed il perdono che Gesù è disposto a donare.

Quella piccola mano del Bambino Gesù, timidamente alzata in segno di benedizione, si staglia fra luci, penombre ed ombre del nostro cammino di vita. Nella più profonda naturalezza e quotidianità, abbandonando ogni distanza fra cielo e terra per compiere un abbraccio di pace fra Dio e gli uomini.

Fra il rosso cremisi, le ocre e la gamma intensa dei bruni, i personaggi prendono vita dal colore per emergere dal buio e dall’ombra. E poiché in ogni cosa esiste una crepa, una fessura, è proprio da lì che entra la luce.

Se alcuni uomini lasciano morire la fede e la speranza nei miracoli, altri la nutrono e la proteggono avendone cura nei giorni bui di solitudine e miseria. Finchè un giorno la luce divina entra nei loro cuori.

Oltre ogni aspetto rievocativo, la proiezione di un intimo desiderio si compie dinanzi a loro. E ben presto essi non furono mai così ricchi: quando assunsero la consapevolezza che il valore della fede supera la preziosità dell’oro.

E mai come in quell’attimo le parole di Gesù furono chiare ed esplicative: “Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”.

Fonte: Finestre sull’arte – A. Grieco

Di Emerenziana Bugnone

Socia Monastica Novaliciensia Sancti Benedicti, volontaria culturale e accompagnatrice.

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