“La sera del 9 novembre 1860 una colonna di soldati in lacere uniformi turchine, disarmati e sotto scorta, marciava lungo la tortuosa strada alpina che risale la Val Chisone, nelle montagne piemontesi, verso la fortezza di Fenestrelle, costruita a 1200 metri di altezza sul livello del mare. Erano prigionieri dell’esercito borbonico catturati per lo più alla resa di Capua il 2 novembre, trasferiti per mare da Napoli a Genova dove erano approdati il giorno prima, poi trasportati in treno fino a Pinerolo e ora avviati a piedi, giacché non c’era altro mezzo, alla fortezza. Esausti per l’interminabile marcia, arrivarono a Fenestrelle per tutta la notte, a drappelli sbandati. Uno di loro morì appena giunto; nei giorni seguenti ben 178 su 1186 vennero ricoverati in ospedale, e altri quattro vi morirono”. [1]
Letture della storia
Il 6 luglio 2008, sotto una pioggia battente, un gruppo di aderenti e sostenitori dei Comitati Due Sicilie, in parte convocati via chat o per email, salì a Fenestrelle e inaugurò una lapide che dice testualmente:
«Tra il 1860 e il 1861 vennero segregati nella fortezza di Fenestrelle migliaia di soldati dell’esercito delle Due Sicilie che si erano rifiutati di rinnegare il re e l’antica patria. Pochi tornarono a casa, i più morirono di stenti. I pochi che sanno s’inchinano».
Duccio Mallamaci, coordinatore per Piemonte e Calabria del Partito del Sud, tenne, interrompendosi a tratti per la commozione, un discorso in cui definì Fenestrelle un campo di sterminio come Auschwitz o Belzec, e affermò che 8000 uomini vi erano morti di fame e di freddo. In tutto, aggiunse, furono 40.000 i prigionieri meridionali sterminati nel Nord. Al discorso seguì una messa in latino, officiata da un prete francese fatto venire per l’occasione.
Chi erano quegli uomini?
Cosa accadde davvero ai prigionieri napoletani trasportati al Nord nel 1860? E, in genere, agli ex-soldati borbonici caduti nelle mani delle autorità vittoriose negli anni che portarono all’unità d’Italia? Erano migliaia? Quanti sopravvissero e quanti morirono di stenti, di fame e di freddo?
Chi navighi nella rete alla ricerca di informazioni o di opinioni su Fenestrelle e sulla deportazione dei prigionieri di guerra meridionali al Nord è subito colpito dall’estrema violenza del linguaggio e dal ricorrere di termini di confronto novecenteschi impiegati senza alcuna prudenza: campi di concentramento, lager, Auschwitz, sterminio. Come la targa e la commemorazione sopra ricordata.
Intorno al destino di quei soldati è stata sollevata negli ultimi anni una cortina di interrogativi fumosi e di sospetti gratuiti, che può essere smantellata solo attraverso un’aderenza scrupolosa ai fatti dimostrati.
Un libro per fare chiarezza
Ne I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle, editato da Laterza nel 2012, Alessandro Barbero racconta i fatti ma anche la storia di come quegli avvenimenti – già di per sé abbastanza drammatici – siano diventati materia di un’invenzione storiografica e mediatica, nell’Italia del Duemila.
Questo libro tenta di ricostruire ciò che veramente accadde ai prigionieri napoletani trasportati al Nord; agli ex-soldati borbonici caduti nelle mani delle autorità vittoriose. Il lettore vedrà che la ricostruzione è per lo più estremamente minuziosa, anche quando si tratta di questioni che normalmente non meriterebbero tanto sforzo. Per esempio, nello stabilire il giorno esatto in cui un certo reparto capitolato a Gaeta venne trasportato a Capri o ad Ischia; quanti giorni vi rimase e quale rancio ricevettero gli uomini in quei giorni.
Questa, dunque, è la vera storia di ciò che avvenne a Fenestrelle. Ma anche a Torino, a Napoli, a Milano, a Gaeta e in altri luoghi d’Italia, fra 1860 e 1861. Quando l’esercito delle Due Sicilie venne sconfitto in una guerra non dichiarata; i suoi uomini fatti prigionieri o sbandati; e, poi, in gran parte trasportati al Nord per essere arruolati contro la loro volontà nell’esercito italiano.

Fonte: La Biblioteca di Babele
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